CAPITOLO II
SCRIVO POESIE SOLO PER PORTARMI A LETTO LE RAGAZZE
“Ti amo”, aveva detto prima di addormentarsi.
La stessa tigre che mi aveva sbranato, adesso giaceva accanto, pacifica in una giungla di lenzuola sfatte. Litigare. Per cazzate. E poi, a letto.
Niente di nuovo: la strada per il cuore di una donna passava sempre per le mutande. Solo che per arrivare al pizzo dovevi prima staccare il tagliando al cervello. Che era una fottuta trappola.
Bisognava sapersi muovere in tutti quegli impicci.
Avevo capito come fare già da un po': ragione e bugie. La prima per non sentirsi in errore, le altre perché più morbide della verità. Per fortuna quasi sempre si può concederle entrambe in un colpo solo.
Io avevo gioco facile. Ero uno scrittore. Un poeta. Imbrogliare gli altri era il mio mestiere.
Ero davvero un gran bastardo, ma non potavo farci niente.
Eppure l’amavo davvero, nonostante tutto. E Lei, ignara, ricompensava i miei inganni con qualcosa di più sincero di un sorriso compiaciuto.
Mi stesi e la abbracciai. Colpevole e riconoscente, come un gatto randagio dopo aver elemosinato gli avanzi a suon di fusa.
Matteo Pisaneschi
L’UBRIACANE
Cinhuahua
Sonia Tortora
QUANDO ERAVAMO GIOVANI – IL SORRISO TRA PARENTESI
Quando eravamo giovani, la vita ci entusiasmava e ci trascinava impetuosamente. Non avevamo timore di bruciare le tappe, gettavamo con incoscienza i giorni, i mesi e gli anni nel tritacarne della nostra esuberanza e della nostra euforia. Correvamo senza sosta per inseguire quei sogni che, prima o poi, ci avrebbero regalato un sorriso da indossare, appagati, una volta per sempre.
Poi il tempo, lentamente ma inesorabilmente, cambia tutto. I duri colpi della vita ci curvano la schiena. La fitta polvere della realtà incanutisce e inaridisce i nostri capelli. Il vento travolgente ed inarrestabile dei giorni passati scava solchi profondi intorno agli occhi. L’acqua agrodolce delle lacrime versate sfibra e logora la pelle del viso. Le guance, ormai prive di consistenza e vigore, si afflosciano intorno alle labbra, andando, come una triste e impietosa metafora di ciò che è stato, a mettere tra parentesi il nostro malinconico sorriso.
Claudio Sara
CONFESSIONI DI UN CODARDO
Vicino al biliardo tre uomini stavano massacrando un poveretto. Calci, pugni, sputi, mentre la vittima tentava invano di coprirsi il volto fra l’indifferenza dei clienti.
“Ti prego Carlo, corri ad aiutarlo” piagnucolò Licia, stringendo il braccio del fidanzato. “Non vedi che lo stanno ammazzando?”
“Succede a tutti prima o poi. Lascia stare, quel tipo si sta prendendo solo un po’ di vantaggio.”
Carlo tirò un sospiro di sollievo. Strano che la vita gli stesse concedendo una boccata d’aria. Chissà che sarebbe accaduto l’indomani. Sapeva d’avere un conto in sospeso con la sfortuna.
Ida nel frattempo piangeva. Le dita aperte a ventaglio sulla bocca spalancata. Troppo sensibile per questo mondo di belve.
“Vieni, andiamocene di qua” le suggerì Carlo, dopo aver seccato la birra. “Non vorrei che quei matti si stessero solo scaldando.”
“Sei un codardo.”
“Già, brutta storia che siano sempre i migliori ad andarsene.”
“Beh mi sa che tu vivrai in eterno, allora” ribatté lei.
“Cristo, non odiarmi così tanto.”
Uscirono dal locale, accompagnati dal rumore di vetri e ossa rotte.
Il cielo era limpido e stellato.
Distante.
Samuele Fabbrizzi
DONNE
Stesa sul letto, lo sguardo inquieto scivola sui muri e parla.
Quella porta era aperta, non l’aveva vista, era distratta, come sempre.
Sì, ha sbattuto ma non sente dolore. No, lui non c’entra, povero caro. Lacrime, dove???
E poi lontana, per non sentire, per non soffrire più.
Stefania Fiorin
NOTTE IMBECILLE TRA LE GAMBE
Avete mai provato ad aggiungere “tra le gambe” ai titoli dei libri e dei film?
No? Non lo avete mai fatto?
Non è difficile: Pomi d’ottone e manici di scopa tra le gambe, Il deserto dei Tartari tra le gambe, A qualcuno piace caldo tra le gambe, Se questo è un uomo tra le gambe, Cronache marziane tra le gambe, La carica dei 101 tra le gambe, e così via all’infinito…
Voglio fare l’esperimento con i titoli di Bukowski:
L’ubriacone tra le gambe.
Quando eravamo giovani tra le gambe.
Confessioni di un codardo tra le gambe.
Shakespeare non l’ha mai fatto tra le gambe.
Cena a sbafo tra le gambe.
Il crimine paga sempre tra le gambe.
Il primo bicchiere, come sempre, è il migliore tra le gambe.
È passata mezzanotte e mi diverto davvero con poco: è proprio il caso di dire che è “una notte imbecille tra le gambe”!
Luigi Siviero
SHAKESPEARE NON L’HA MAI FATTO…
…un dialogo così.
Romeo: È ora di partire.
Giulietta: No Romeo. Non è ancora sopraggiunta l’alba. Quello che senti non è il canto dell’allodola mattutina, ma il trillo dell’usignolo, che spande le sue melodie solo di notte.
Romeo: Eh no, Bella! Questo è er cellulare mio. Me sta a cerca’ Mercuzio: o’ conosci, vero? Me ne devo anna’ co’ lui sull’apparecchio al carnevale de Rio. Sapessi che gnocche!!!
Ce vedemo quanno torno, Giulie’… Forse…
Rosanna Fontana
CENA A SBAFO
Cenò e si sbafò tutto quello che c’era. S’abbuffò facendosene un baffo di essere chiamato l’abbuffone. Del resto era un buffone che aveva avuto il suo momento di gloria facendo la comparsa ne “La grande abbuffata”. Buffo essere così magro con tutto ciò che ingurgitava. Si faceva beffe di chi stava a dieta, si imboscava in tutti posti in cui si mangiava.. perchè mangiare è bello e a sbafo lo è ancora di più.
Maluna Viola
IL CRIMINE PAGA SEMPRE?
Tutte le mattine lo vedevo uscire dal palazzo di fronte al mio.
Spavaldo come sempre.
La vista di quell’uomo mi faceva venire i brividi e nel contempo una rabbia irrefrenabile. Nella mia mente, già da tempo si susseguivano progetti di vendetta.
Solo immaginazione…fino alla mattina nella quale mi si presentò un’occasione perfetta che non potevo lasciarmi scappare.
Lui supino sull’asfalto, probabilmente in seguito a una caduta. Io alla guida della mia vecchia auto.
Accelerai, gli andai addosso, per un paio di volte feci avanti e indietro sul suo corpo. Scesi dall’auto e iniziai a gridare simulando di averlo investito distrattamente.
Piansi… di gioia!
Finalmente avevo ucciso l’assassino di mia sorella. L’uomo non venne mai condannato per mancanza di prove, e neanch’io pagai.
La giustizia giudicò quell’incidente una sfortunata coincidenza; anche la mia coscienza mi giustificò.
Giusy Caligiuri
IL PRIMO BICCHIERE, COME SEMPRE, E’ IL MIGLIORE
Un piccolo quadernetto a farmi compagnia in serate inutili, una biro nera, un bar lontano miglia da casa.
-Scusi ha per caso un bicchiere di luna?- domandai una volta entrato.
-Non abbiamo la luna ma abbiamo un buon vino rosso, le va un bicchiere? – rispose sorridente il barista.
-Mi accontenterò. – risposi prendendo il bicchiere e mi accomodai.
La biro prese vita fra le mie mani..
Era una notte di luna, vuota,
le sentivo le stelle attorcigliarsi dal dolore.
M’accorgevo che l’età era nascosta fra gli specchi dell’anima.
Luna, che sei lì, che sembri lontana,
sei più vicina di quanto t’immagini.
Scende la pioggia ,adesso, come faccio a leggere fra le tue righe
e ad innamorarmi di te;
Ascoltami ti prego non lasciarmi fra gli anfratti del mio io,
legami a te come il primo bicchiere che sorseggerò
e sarà il migliore di tutti i bicchieri del mondo.
Scavami dentro, nell’anima ,sentimi gioire della musica che giunge al mio cuore.
Lascia che impronti l’eternità su di te,
scendi o luna dal cielo,
aiutami a sognare milioni di milioni di volte in più.
Vincenzo Attolico
TACCUINO DI UN VECCHIO PORCO
– Ho un taccuino di vitello.
– Io di un vecchio porco!
Marcello Perugia
SEDUTO SUL BORDO DEL LETTO MI FINISCO UNA BIRRA NEL BUIO
“Cavolo, domani ne farò 48″.
Nessuna voglia di festeggiare. Uno spreco di vita. Non avevo nulla. ?Avevo messo al mondo dei figli. Cani sciolti.
La mia ex? Mi odiava ancora. Amici? Sì, uno.
Così telefonai.
Prenotai la stanza più bella dell’albergo, poi chiamai lui.
Gli chiesi di raggiungermi, con qualche birra. “Dillo anche a un nostro amico, a piacere. Fagli fare lo stesso, senza rompere la catena”.
Giuseppe arrivò alle nove. Stappammo una birra, mi raccontò della sua mancata carriera: colpa dei sindacati.
Alle dieci ecco Filippo. Aveva litigato con la moglie, come ogni sera. Si stavano separando. Prese una birra.?Dopo mezz’ora arrivò Luigi. Aveva una figlia con una malattia che non le dava scampo. Non festeggiava nulla da tempo. Bere con noi gli fece bene.
Stravaccati sul letto stavamo comodi. Chi sdraiato, chi seduto, a mezzanotte eravamo in sette. Una birra e un problema ciascuno, pronti a brindare.
La birra scioglie il cuore. Auguri.
Ne assaporai il malto e l’alcool, poi mi guardai attorno.
Con gli amici, seduto sul bordo di un letto, finivo quella birra.
Ero felice.
Francesco Marcone
LE RAGAZZE CHE SEGUIVAMO
Avevamo quindici anni, l’età col vento in poppa per amare e spaccare il mondo. Inseguivamo il sogno dell’amore.
Abitavamo al mare. Le ragazze che seguivamo erano le turiste. Belle, abbronzate, provenienti da chissà dove.
Per attaccar bottone, ogni scusa era buona. Imperdibile la fiera del paese: un puzzle di facce e bancarelle.
Staccatomi dagli amici, mi avvicinai al girello dello zucchero filato, l’ordinai, pagai.
L’ambulante, erroneamente, lo consegnò a una ragazzina.
– Quant’è?
– Ha pagato il tuo amico.
– Grazie. Mi chiamo Gloria. – disse, porgendomi un pezzetto di zucchero filato.
– Prego. Piacere, Federico. Hai un desiderio? – le domandai a bruciapelo.
– Vorrei incontrare il Principe Azzurro.
– Stasera il vestito azzurro era sporco. Così, in camicia e jeans, eccomi qui!
Gloria scoppiò a ridere.
Il cuore mi tamburellò così forte che pensai esplodessero i bottoni della camicia.
La baciai.
Mi sentii grande, assaporando il sapore delle nostre labbra vanigliate. Scoprii che la lingua poteva giocare con un’altra lingua, accarezzandola. Una tempesta emozionale, indubbio ormonale.
Persi Gloria nei meandri della vita, che concede e toglie.
Conservo quel dolcissimo bacio, allo zucchero filato, tatuato nel cuore.
Marina Paolucci
CE L’HANNO TUTTI CON ME
Dicono che chi nasce rotondo non muoia quadrato. Poi c’è chi nasce triangolare, quelli sono sempre una spina nel fianco. Anzi, una spina nel culo. Ti impegni a fare ciò che devi fare senza ottenere nessun meritato riconoscimento. Frustrazione. Oltre a non ottenere riconoscimenti vieni pure preso per il culo. Frustrazione. Vedi gente meno meritevole ottenere più di ciò che meritano, e tu lì senza neanche una pacca sulla spalla. Frustrazione. Sembra quasi che le persone si mettano d’accordo per farti arrivare al limite, vicino all’esplosione, e poi si diverta a guardarti mentre consumi. Sembra quasi una gara a chi ti faccia esplodere per primo. Sembra quasi che mi abbiano dipinto un bersaglio sulla schiena. Frustrazione. Poi ti chiedono cosa c’è che non va, come mai sei cupo, perché non parli. Io non ho niente che non va, siete voi quelli che non andate. Frustrazione.
Andrea Zanchi
L’AMORE È UN CANE CHE VIENE DALL’INFERNO
Sembrava un giorno diverso.
Intorno a me, un viavai continuo di gente… volti nuovi.
Ero un po’ spaventato perché sapevo che oggi sarebbe toccato a me!
Ma uscire da quella stanza mi preoccupava: tanti se ne erano andati prima, e non erano più tornati…
Ma quelle persone sembravano buone! La ragazza dai capelli biondi che mi abbracciava e non smetteva di accarezzarmi, non aveva l’odore forte di disinfettante del signore col camice bianco che mi aveva fatto tutte quelle punture!
A un certo punto, un urlo: “Portate fuori l’ultimo, il numero 2.700!”.
Mi misero in una gabbietta e percorsi il lungo corridoio che mi separava dalla luce abbagliante del sole…
Oltre il cancello, un uomo, una donna e un bambino. Lei si avvicinò, alla gabbietta, la aprì e, prendendomi in braccio esclamò: “Ciao Amore! Ora vieni con noi!”.
Mi girai e guardai per l’ultima volta quella scritta sulla targa del cancello: “Green Hill”. Addio! Ora vado a casa!
Olga Pervenuti
UNA NOTTE NIENTE MALE
In quel Bacio agognato ho visto i nostri Figli danzare.
Wilhelmina Vagante
QUELLO CHE IMPORTA È GRATTARMI SOTTO LE ASCELLE
Lo ammiravamo perché aveva delle priorità nella vita.
Maurizio D. Capuano
IL SOLE BACIA I BELLI
Il bel tempo era arrivato. Tutti correvano verso il parco dove il prato aveva vestito i panni di un grande tappeto di margherite. Distesi come lucertole in un giorno di luglio, tutti guardavano il cielo a pancia in su. Io? Guardavo il tempo seduta sotto un grande albero dove i rami lasciavano intravedere piccoli scorci di luce, delicate fessure intrecciate, che venivano penetrate da un sole caldo e luminoso. Il sole bacia i belli? No, troppo facile mettersi in un luogo privo di ombre ed ombrelloni. Il sole gioca a nascondino, conta fino a dieci, corre a cercare tutti quelli che rifuggono da esso, poco importa se belli e brutti, l’importante è che non si lasciano acchiappare con troppa facilità.
Melissa Ci
SVASTICA
– Zu jung zum Sterben…
Troppo giovane per morire…
La frase, che allora non compresi, mi sarebbe rimasta impressa nella mente per il resto della vita, come l’immagine della svastica sulla manica del soldato.
Non era un ufficiale, perché sulla fascia rossa con la croce uncinata non c’erano strisce bianche, ma non per questo incuteva meno terrore.
SS: il nome rievocava le atrocità commesse a Sant’Anna dalla Panzergrenadier Division Reichführer, ai danni dei civili inermi.
Gli uomini erano scappati sulle montagne; io, bambino di dieci anni, le mie due sorelline, la mamma e la nonna c’eravamo nascosti in cantina.
Quando il soldato irruppe, spalancando la porta a calci, le donne si accucciarono in un angolo, strette in un abbraccio. Io rimasi dritto in piedi, a fissarlo come ipnotizzato. L’uomo ci studiò con una rapida occhiata, poi si portò l’indice al naso, facendomi segno di tacere, e sussurrò quella frase.
Girò sui tacchi e sparì. Sentimmo il rumore dei mezzi militari che si allontanavano. Non seppi più nulla di quel soldato, ma ogni sera recito una preghiera per la sua anima.
Anna Rita Foschini
A SUD DI NESSUN NORD
Il treno arrivò puntualissimo alla stazione di Varenna. Scesi velocemente per non perdere la coincidenza con il pullman. Fui la prima a salire. Presi posto sul sedile davanti e mentre la corriera arrampicava lenta, dietro a ogni tornante, lo spettacolo era tale da lasciarmi ancora una volta a bocca aperta. Le porte si aprirono, ero arrivata in paese. Mi sistemai sulle spalle il pesante zaino e iniziai la camminata per la Porta di Prada. Intorno un paesaggio mozzafiato, montagne, prati, fiori, alberi e laggiù in fondo un angolo del Lago di Lecco. Ed è proprio qui che papà scelse di essere liberato. Un luogo che lascia senza respiro chiunque attraversi questi sentieri. Felice di aver esaudito il suo desiderio, rimasi raccolta nei miei pensieri, nei nostri pensieri per un tempo interminabile. Lui voleva essere libero di volteggiare a sud di nessun nord, con il vento e tra le nuvole, in questo posto magico come in un sogno.
Daniela Rossi
PANINO AL PROSCIUTTO
Io e Sergio ci amiamo. Sono dieci anni che ci amiamo.
Quanto sta accadendo non cambia le cose.
Matteo è più giovane di me e lo è ancor più di mio marito.
Sono mesi che si diverte a risvegliare in me quelle sensazioni che ormai credevo sopite da troppo tempo. Sergio non ne era più capace non perché non mi amasse, ma solo perché l’amore dopo dieci anni cambia. Cambia la passione. Cambiano i nostri corpi. Maturano i desideri.
Guardo il nostro riflesso in quello specchio. Matteo sa di buono ed è di fronte, attaccato al mio corpo nudo, e il calore della sua bocca sa rivelarmi cose che non sentivo da troppo. Sergio è dietro… sento il suo fiato affannarsi con nuova passione sulla mia intimità.
Il mio corpo nudo e rosa trionfa tra loro.
Assaporo il momento, soddisfando la mia insaziabile golosità.
Eleonora Desiderio
BIRRA FAGIOLI, CRACKERS E SIGARETTE
Sono di nuovo single. Anche Marco mi ha lasciata. Sola, in questa casa che ora sembra così grande. “Basta, non ne posso più! Mi sembra di vivere con mio fratello, non con una fidanzata! Non sai nemmeno cucinare!”. E se ne era andato con una bionda. Cuoca. “Perché lei è più donna, solo con lei mi sento uomo!”. Uomo, quanto poco gli si addiceva quella parola. Non voglio più pensarci, preferisco godermi la vita in tutta la mia graziosa femminilità. Mi siedo sul divano davanti al derby in sacrosanta pace con tutto ciò che mi serve per essere felice. Un pacco di crackers come sfizio, una scatola di fagioli per l’intestino pigro, una birra per alleggerire la vita e qualche sigaretta per accorciarla. Semistesa sul divano, con i piedi sul tavolino di vetro lasciando briciole ovunque, festeggio ogni goal con un sonoro rutto.
Cinzia Colantoni
LE POESIE DELL’ULTIMA NOTTE DELLA TERRA
Quando il chirurgo allargò le braccia e scosse la testa, la sala bianca, che aveva pulsato per ore al ritmo dei suoi “Mio Dio, Mio Dio…” rimase immobile. Il mondo intero si fermò. Era la fine.
Allora tutto quel bianco le precipitò dentro e cominciò a roteare. Oh! Era la gonna del suo abito da sposa, mentre piroettava felice pensando che per sempre avrebbe vissuto col suo Marco.
Aprì gli occhi. Il medico continuava a ripetere: “Abbiamo fatto tutto il possibile”. Il suo sguardo lo trapassava, vedeva proiettata sul muro bianco la breve collana delle giornate trascorse con Marco.
Le sembrava che una dopo l’altra salissero verso il cielo. Luminose come stelle, lievi come poesie.
Consuelo Lanzara
STORIE DI ORDINARIA FOLLIA
Nei letti, sporchi e abbandonati. Loro erano lasciati al lento susseguirsi del tempo, aspettavano la morte. Sani, erano sani, era la loro mente che faceva bizze, ma si sa i manicomi erano chiusi da anni. Le case di cura private, a volte diventavano lager, gli assistenti e gli infermieri, persi nelle loro misere vite, erano i loro carnefici.
Le lenzuola sporche di escrementi ed urina, le divise che bianche non erano più. C’era odore di morte. C’era la pazzia che voleva liberarsi. Voleva uscire, per essere meno violenta di loro. Loro, a dispetto dei loro carnefici erano sani, liberi e puliti. Loro, la follia era ordinaria per tutti gli altri.
Anna Dixie
NIENTE CANZONI D’AMORE
La strada si restringeva come un budello tra i palazzi grigi intarsiati di scritte e murales. Sull’asfalto bagnato di pioggia scricchiolavano i passi regolari di un uomo. Il vento sollevava mulinelli di cartacce , l’uomo alzandosi il bavero del cappotto nero, si fermò. Il palazzo era quello giusto, il numero civico corrispondeva. Aprì il portone socchiuso, lo scricchiolio dei cardini arrugginiti lo accompagnò all’interno dove lo investì il forte tanfo di piscio di gatto. La casa era al primo piano, guardò la targhetta e bussò. Dall’altra parte della porta, Anselmo mimava un lento immaginando di avere tra le braccia la sua Maria, mentre le note della loro canzone si spargevano per l’aria. Quando sentì il suono del campanello sobbalzò abbassò il volume della radio e aprì.
– Sono venuto a prenderti.
– Non sono ancora pronto
– Dobbiamo andare
– Aspetta almeno la fine della canzone
– Niente canzoni d’amore, lo sai che poi è più difficile andare via
– Ho ancora tante cose da fare
– Non c’è più il tempo
Anselmo capì, chiuse le persiane, lo seguì.
Claudia Cuomo
TUTTO IL GIORNO ALLE CORSE DEI CAVALLI E TUTTA LA NOTTE ALLA MACCHINA DA SCRIVERE
La conoscerò.
Una notte come tante, dopo una partita a poker, con il portafoglio gonfio e qualche bicchiere di whisky in corpo, mi fermerò a bere l’ultimo drink in un bar qualsiasi.
Al bancone ci sarà lei, la rossa delle mie fantasie, la rossa di “Nighthawks” di Edward Hopper. Profumerà di eleganza e di solitudine. Poggerò sul bancone il mio borsalino e mi volterò verso di lei. Incontrerò i suoi invitanti occhi neri e la sua maglietta, così attillata da mettere in risalto due irriverenti capezzoli, che mi verrà voglia di assaggiare.
Ciotti suonerà “along the river”. Io le offrirò un cognac, una chesterfield ed il mio nome.
Comincerà così la nostra notte; una notte colma di confidenze, silenzi, carezze, baci, intimità.
All’alba ci saluteremo. Non ci rivedremo, ma, ne sono certo, ci incontreremo spesso in qualcuno di quei rari e meravigliosi momenti che riusciremo a dedicare a noi stessi.
La terrò per me quella notte, perché sarà una notte esclusivamente da vivere, non da raccontare.
Marcello Mora
SANTO CIELO, PERCHÉ PORTI LA CRAVATTA?
Volevo vestirmi come il babbo, sono due anni che non c’è più e le sue cravatte sono ancora tutte nell’armadio.
Quando lo apro e le vedo lì, allineate che sembrano soldatini sull’attenti in attesa dell’ora d’aria, non resisto. Ne porto in giro qualcuna, qualche volta, e sento che lui ritorna un po’.
Mi piace tanto quella rossa con le strisce oblique marron.
Mariella Giunta
URLA DAL BALCONE
Ignazio vide i manifesti mortuari all’ingresso dello stabile. Alfio, quello del terzo piano, il becchino. Pensò che le urla, quelle delle tre del mattino a cadenza settimanale, finalmente sarebbero finite. Alfio aveva un incubo ricorrente: si svegliava supino, le dita intorpidite. Nessuna luce. Allora muoveva le mani, le portava in viso: perfettamente rasato. Una mano urtava qualcosa a una spanna dalla sua testa. Sembrava legno. Non capiva… Poi, sensazione di morbido. Portava le mani alle narici: profumo. Fiori…Le guance gli restituivano la sensazione del cuscino. Alfio allora capiva: morte apparente e veniva invaso dal terrore, squarciando la notte. Ignazio entrò in casa. Prese silenziatore e pistola, di cui aveva regolare porto d’armi e salì al terzo piano. Salutò parenti, vicini. La vedova gli fece un cenno, la seguì. In cucina gli consegnò una busta. Aspettavano solo il medico, poi sarebbe toccato a lui. Alfio aveva lasciato disposizioni: accertata la morte, incaricava Ignazio di esplodergli un colpo in testa. Tanto non è reato, uccidere un morto
Roy Roberto
STORIA DEL XX SECOLO
Morto il padre, Giovanni si diplomò grazie ai sacrifici di sua madre. Poi finì anche lei, ma il dolore più grande fu rinunciare al suo sogno. Figlio unico, rimase solo al mondo. Dorina, la fornaia, sola amica di sua madre, gli offrì un lavoro. L’avrebbe aiutata di notte e dormito di giorno. Perlomeno il ragazzo avrebbe tirato su qualcosa per campare. Egli impastava e infornava il pane. Quando l’odore fragrante avvertiva che era cotto, Giovanni si preparava a consegnarlo. Poi una volta a casa, sognava. Disegnava con le parole la fantasia scrivendo storie. Una raccontava di un cieco rimasto per tutti bambino, che ,invece adulto, sognava l’amore. Diceva che il destino, giocando coi sensi , glielo aveva fatto incontrare. Il giorno rapiva i racconti e Giovanni al risveglio pensava di aver solo sognato. Un mattino giunse una lettera e con essa un assegno. Il giornale locale gli pagava i racconti ricevuti e pubblicati. Chi li aveva inviati per lui?! In fondo non era importante. Giovanni scopriva che gli angeli non abitano solo le stelle.
Marina Lorena Costanza
SOTTO UN SOLE DI SIGARETTE E CETRIOLI
Ma quanti cazzo di libri ha scritto ‘sto Bukowski? Tra un whisky e un cognac.
Terza settimana, stavolta comincio dal basso.
Che razza di titolo, che ci scrivo? Chiedo aiuto a Chicomexochtli, dio azteco degli artisti. Nulla.
Cerco ispirazione tra le cipolline e i peperoni in agrodolce. Bastardi. I cetrioli si nascondono sempre. Poi eccoli lì. Verdi come le montagne verdi, sott’aceto come cetrioli sott’aceto. Ma l’ispirazione non arriva. Sbatto la porta del frigo. Sento rumore di uova infrante, ma, preso dall’estro artistico, tralascio il particolare.
Proviamo con le sigarette. Non fumo più da quattordici anni, ma per Fogazzaro si può fare un’eccezione. Il pacchetto verde appare nel cassetto dove ha dormito placido per anni e anni.
Fumare una vecchia sigaretta quasi maggiorenne è una delle esperienze più nauseanti della vita.
Mal di testa ma niente testo.
Penso che passerò a un altro titolo.
Lodovico Ferrari
MUSICA PER ORGANI CALDI
Se raccontare la bellezza significa svilirla io non parlo ma ti amo.
Patrizia Benetti
(EX) COMPAGNO DI SBRONZE(?)
(Mi manchi.)
E con questa sono settecentoquarantatre ore con il gomito basso, il mignolo non teso e il sangue che non è più alcol.
Sono quasi 31 giorni: lo sgabello vuoto, il solito sul tuo conto, la birra per due che ormai prendo per abitudine… non ci si abitua mai.
E ho ormai il tuo riflesso fisso nel fondo del bicchiere lavato di Rum e la cenere del mozzicone che disegna i tuoi tratti.
Siamo nostalgici.
Anche la puttana odorosa all’angolo lo è, ma non è a te che va il suo pensiero. Pure il drogato, mentre tira dentro la dose del giorno.
Io levo il calice in alto, in silenzio, e da lontano lo sento tintinnare col tuo. Che sia a brindare anche tu non lo so, tentar non nuoce.
Come ritornare a casa dribblando gli alberi, quando doppio non è solo la metà del prossimo, ma soprattutto l’immagine impressa.
E poi lodare Dio, con l’adrenalina in vena, per aver ritrovato il tocco freddo delle labbra contro la tazza del cesso… vivi.
V.
Rita Bernardi
TUTTI GLI ANNI BUTTATI VIA
I ricordi giocano confondendosi avanti e indietro nel tempo.
Vengono spesso a galla, sono tanti, coloratissimi.
Li considero al presente, così da non avere rimpianti.
Sto pattinando, abbracciando mia madre, dipingendo con mio nonno.
Scherzando con le amiche e piangendo per un lutto.
Adesso sto amando e partorendo i miei figli.
Penso di non aver buttato un solo istante della mia vita,
neanche i momenti passati ad annoiarmi.
Lucia Amorosi
NON C’È NIENTE DA RIDERE
Quando mi hai lasciato, mi hai lasciato tre mutande…..sporche!
Giovanna Polini
QUANDO MI HAI LASCIATO, MI HAI LASCIATO TRE MUTANDE
Senza Simo è dura. Una vita da solo e poi t’incontro sta gran culona. Postina precaria, all’ennesima raccomandata da firmare ci siamo scopati sul divano, lei veloce a togliersi jeans e mutandine, io a infilarglielo dentro e a venire. Una sveltina trasformatasi in convivenza. Lei stanca di stare dalla sorella, io trascinato dal suo decisionismo e intrappolato fra cosce, natiche, tette, labbra e tutto il resto con cui mi arrapava. Comunque alla terza scopata si era portata lo spazzolino da denti, una borsata di abiti ed era uscita il mattino seguente dicendo:
“Ci vediamo quando ho finito”
Mai stato meglio. Non un granché come donna di casa, cucinare e pulire la infastidivano, ma nessuna rottura di balle, le bastava leggere e scopare. Fino a che, dopo una notte di sesso da capogiro, la vedo uscire al mattino col borsone in mano:
“Vado da un amico al mare, magari trovo lavoro per la stagione.”
Gli stronzi delle poste non le avevano rinnovato il contratto.
Mi ha lasciato lo spazzolino e alcune mutandine sporche, quelle che sto odorando ora, mentre mi masturbo.
Graziano Gattone
SPEGNI LA LUCE E ASPETTA
Avevi un cardine aperto
nei legami di cuore
in cui penetrò
una giovane vecchiaia.
Non bastò una porta
a farsi meta
ad additare
un nuovo ambiente
un vano prospiciente
inondato di luce
e suoni.
Richiudi l’uscio
ritorna al buio
discretamente.
E aspetta.
Mauro Barbetti
I CAVALLI NON SCOMMETTONO SUGLI UOMINI (E NEANCHE IO)
“Scommetti che ora mi sposta e tu mi mangi?”
“No”.
“E pensare che potrei mangiare quel bel pedone succulento…scommetti che lui non riesce a vederlo?”.
“No”.
“Perché rispondi sempre no? Pensi che non succederà?”
“Sugli uomini non conviene mai scommettere. Lasciamoli a loro questi giochetti stupidi”.
“Hai ragione. Comunque ecco, hai visto? Mi ha spostato qui, così tu ora mi puoi far fuori tranquillamente”.
“Eh già. Comunque anche il mio è stupido, se ti può consolare. Prima si è fatto mangiare un alfiere e non ha visto che la regina era in pericolo”.
“Il bello è che si credono intelligenti”.
“Credono tante cose. Per esempio, secondo loro io e te siamo nemici. Solo perché io sono bianco e tu nero”.
“L’hanno deciso loro”.
“E ora hanno anche deciso che ti devo mangiare. Mi dispiace fratello”.
“Non ti preoccupare. Alla prossima partita”.
Lucia Cabella
FACTOTUM
Ti rimbocco le coperte e chiudo gli scuri alle finestre.
Per strada passa un motorino, poi s’odono un vociare, una musica ritmata, una portiera che sbatte. La vita di notte, anche, dopo la vita di giorno .
La nostra, di vita di giorno, è un po’ così, lenta e dimessa
Sono un po’ zelante, lo so, e questo ti innervosisce. Cerco di non farti mancare ciò che è impossibile che non ti manchi, di placare uno smarrimento feroce, e più mi affanno, più mi pare tutto inutile.
Mi offro per bisogno. Non lo faccio per te, capisci? Sono io che devo cercare di chiudere questa porta spalancata sul buio
Da quando sei diventato cieco , per quello stupido stupido incidente, per quella mia fottuta distrazione, vorrei essere i tuoi occhi. Non t’ho mai amato più di così.
Chiuderti gli scuri alle finestre è solo un’ abitudine, naturalmente, l’ostinato aggrapparsi alla normalità.
Mariella Giunta
SO BENISSIMO QUANTO HO PECCATO
Se dovessi confessarmi
Superba ,no non lo sono
Avara e neanche invidiosa
Irosa, neanche, ho imparato a contare fino a dieci.
Forse un po’ indolente, ma non verso chi ha bisogno.
Ho un buon rapporto con il piacere sessuale,
sano sesso con lo stesso uomo da dieci anni.
So benissimo quanto ho peccato
La gola, non resisto quando c’è una tavola bandita.
Vado in cucina e apro il frigorifero.
Patrizia Paesani
E COSI’ VORRESTI FARE LO SCRITTORE?
Una volta l’ho pure registrato
il rumore dei tasti
continuo e ovattato.
Quello forsennato dato da pensieri
che ti si affollano
snobbando fila o sentieri.
Quando con serpenti nei capelli
sbuffi e sudi dietro periodi?mutevoli e ribelli.
Voglio scrivere per diletto, per passione
voglio fare lo scrittore?farlo prima che mi mettano in pensione.
Franca Riso
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