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CAPITOLO IV

CAPITOLO IV 

SCRIVO POESIE PER PORTARMI A LETTO LE RAGAZZE
Non riesco a restar solo con Me anche quando dormo.
Wilhelmina Vagante

L’UBRIACONE
Il bar ormai è la mia casa. Il bancone è il mio divano. La barista è la mia tv. Il primo bicchiere è il più difficile da buttare giù, apre la strada agli altri. Il secondo e il terzo sono i più veloci. Dal quarto in poi è tutto più leggero. Il tizio seduto alla mia sinistra sbiascia dei suoi problemi: lavoro, donne, figli. E chi lo capisce? Non ho mai avuto tempo per tutte queste cose, sono sempre stato troppo impegnato a sbagliare. Al tavolo dietro di me ci sono dei ragazzi, si sfidano a suon di birre. Beltà e stupida gioventù. All’entrata ci sono delle ragazze, probabilmente sono meno belle di quello che l’alcool le fa sembrare. Il bar ormai è casa mia, ma questa gente io non l’ho mai invitata. Finisco l’ultimo bicchiere, mi sale la nausea. Vado a casa, quella vera. La gente mi fa venire il vomito.
Andrea Zanchi

QUANDO ERAVAMO GIOVANI
L’odore di fritto si diffondeva in tutte le stanze della casa,
lui nervosamente spalancava le finestre. Odiava quell’odore.
Ogni sera questa scena si ripeteva, io ai fornelli e lui seduto sul divano a fissarmi e a lamentarsi per gli odori del cibo.
Amavo la sua compagnia mentre cucinavo e sopportavo con piacere le sue parole.
Ogni cena terminava con sorrisi e baci.
Eravamo così giovani e innamorati!
Adesso non godo più di quegli sguardi mentre sono in cucina, né sento le sue parole.
E ogni sera sono io ad avvicinarmi a quel divano e imboccargli la cena; lui
mi sorride soltanto.
La sua malattia ci impedisce gesti quotidiani e di routine, ma ha rafforzato il nostro amore.
Ogni sera mi innamoro di lui e lo amo ancor di più rispetto a quando eravamo giovani!
Giusi Caligiuri

CONFESSIONI DI UN CODARDO
Mario ricordava la rabbia lacerante salire precisa precisa verso il cervello e quel senso di impotenza sfiancargli le braccia. Aveva 6 anni. Ricordava a 13 anni il fumo acre di una canna aspirato cercando proprio quello che poteva dargli: anestesia. Una vita trascorsa a scappare dal terrore dei suoi primi passi su cocci di vetro taglienti. Mario guardava il traffico scorrere veloce sotto di lui e pensava a quanto aveva rinunciato per correre via con gli occhi rivoltati sulla nuca: amore, amicizia, semplici sguardi di complicità, rapporti umani. Sempre ad attraversare le persone, i sentimenti e le cose, non era mai riuscito a dire a suo padre che gli aveva rovinato la vita, ma soprattutto non era mai riuscito ad impedire a se stesso di rovinarsela. Con uno scatto felino saltò sulla ringhiera del cavalcavia e senza indugio si lanciò nel vuoto a braccia spalancate, accogliendo il nero asfalto con un sorriso e un solo pensiero:
“Finalmente”
Michele Stefanoni

DONNE
Quando arrivai, le due donne stavano comodamente sedute su un sofà di una splendida stoffa etnica.
I colori dell’oro, dell’arancio e del bronzo, contrastavano la loro carnagione chiara.
I lunghi capelli di un nero corvino scendevano sui corpi perfetti.
Di fronte c’era un cavalletto da terra.
Le loro ombre riflettevano sulla grande tela bianca.
Il mio lavoro poteva cominciare, tutto era pronto.
Non avevo molto da fare, l’immagine così come la vedevo era già in pratica compiuta.
Presi un carboncino e lavorai sui contorni delle due donne.
Evidenziai il loro viso gentile, i loro seni generosi e le loro belle gambe lunghe.
– Solo con la potenza delle sfumature nere, il quadro arriverà dritto al cuore – pensai.
– Finito – Affermai.
– Bellissimo! – dissero le due donne all’unisono.
– Ora possiamo rivestirci? Stiamo congelando.
Il pittore rimase senza parole, l’atmosfera che aveva creato svanì in un attimo.
Rimase solo con il suo sofà e i suoi attrezzi da lavoro, solo com’era arrivato.
Daniela Rossi

NOTTE IMBECILLE
Una sera d’agosto, un signore di mezz’età, conosciuto in paese e pieno zeppo di acciacchi, si fermò nel bel mezzo della stradina in cui viveva, si sedette per terra.?L’uomo a gambe incrociate salutava nel vuoto. I passanti, pensandolo un pazzo, scappavano lasciandolo solo fra il pietrisco e il cemento.
Si formò un’insolita folla di guardoni. Chi si avvicinò per primo all’uomo fu una donna gitana che vendeva ciondoli per tirare avanti. Si volse al vecchio tendendogli la mano sudaticcia, mentre chiunque le faceva cenno di scappare. – Posso sedermi anche io qui con voi? Cosa c’è di bello qui? – domandò incuriosita all’uomo.
– Certo, la prego, qui è dove ho visto salire in cielo il mio angelo – rispose l’uomo.
La donna, allora, si alzò di scatto mimando un saluto rivolto al firmamento.
La marea di gente che s’era fiondata lì per sghignazzare si ammutolì.
Se salutiamo tutti di certo ci vedrà! – commentò la zingara.
Tanta gente, un vecchio e una gitana sospiranti, guardavano al cielo.
– Hai ragione! – osservò l’uomo con i lucciconi agli occhi.
Vincenzo Attolico

SHAKESPEARE NON L’HA MAI FATTO
Shakespeare, pochi lo sanno, era goloso.
– Anne, come mai, Shakespeare non l’ha mai fatto? – chiese la cuoca di casa alla moglie.
– Che cosa, Margareth?
– Un dolce! Visto che ama mangiarli, potrebbe imparare a farli.
William per sbaglio udì la conversazione. Prese le parole come sfida personale, sentendosi punzecchiato.
L’indomani comunicò a Margareth che avrebbe preparato lui il dolce per il “Tea time”.
– Farò una torta a modo mio. Anne, Susan, Hamnet e Judit, sono certo, apprezzeranno.
Chiese di restare in cucina, da solo, senza essere disturbato. Chiuse la porta. La cuoca restò basita.
Passarono tre ore. Finalmente, la porta si aprì.
William invitò tutti ad accomodarsi a tavola, già imbandita per il consueto rito all’inglese.
Li raggiunse reggendo una grande teglia, coperta da una tovaglietta di fiandra bianca ricamata. La sollevò, e, con un inchino, rivelò il suo capolavoro: una pila di fogli accatastati.
Gli ospiti rimasero a bocca aperta.
William, al posto di fette, servì sonetti, scritti a mano, accompagnati da affettuosi baci.
Ai presenti non restò che incassare la burla poetica, lodando la creatività.
Marina Paolucci

CENA A SBAFO
“Comincio dal padrone di casa” dissi, rivolgendo sguardo e bicchiere verso Giorgio “uomo generoso sotto tutti i punti di vista. Quante cene, viaggi, ottime bottiglie e golosità! Certo, come dice Grandeur, non costan nulla: primario d’ospedale, studi a destra e a manca. Fra pazienti e case farmaceutiche, potresti aprire un bazar! Per non parlare del tuo sperma, che distribuisci ovunque: vali diverse banche del seme… A Giorgio, il generoso!”. Portai il bicchiere alle labbra e bevvi. Anche gli altri, ammiccando. Pure Giorgio, perché in fondo, gli davo del “figo”.
“E ora per non tirarla lunga, un brindisi comune: a Grandeur che ha da sempre compagne sante, conosciute nei night! A Giulio, convinto di essersi scopato una giornalista e non un’entreneuse! A Mirco, come me, eterno single ma pieno di amanti, e tutti dai possenti bicipiti! A Marco e alla sua vecchia gallina: tornerà al pollaio, i soldi le fanno comodo… E soprattutto a te Filippo che hai ragione: sono brutto povero e alcolizzato e tua moglie è una troia. Lo so bene: spero continuerà a scoparmi anche dopo il divorzio!”.
Graziano Gattone

IL CRIMINE PAGA SEMPRE
Biancaneve preparò con le sue mani una crostata di mele per l’adorabile matrigna.
Patrizia Benetti

IL PRIMO BICCHIERE, COME SEMPRE, È IL MIGLIORE
Il secondo, lo apprezzi, ma solo perché è laureato.
Il terzo, mi spiace: s-bronzo.
Al quarto, ti sembra benzina.
Al sesto, togli la cannuccia dal serbatoio dell’auto.
Al settimo, cominci a parlare una lingua sconosciuta.
All’ottavo, avvisti un UFO.
Al nono, ti accorgi che la lingua sconosciuta che parli, è quella degli UFO.
Al decimo, sei così ubriaco che ti va bene anche la tua ragazza.
Maurizio D. Capuano

TACCUINO DI UN VECCHIO PORCO
Angiolina trasportò e seppellì resti di una vita da scordare. Avrebbe dimenticato il cane che l’aveva trascinata all’inferno, le violenze subite da quel porco e quel misero lavoro di pulivetri nella fabbrica di scarpe. Finalmente la morte se lo era portato. Il comune, a suo carico, mandò qualcuno a prendere il feretro del marito per seppellirlo. Ella non andò al funerale. Non chiese se il prete avrebbe detto messa. Restò a casa incredula e felice. Quando la bara fu uscita e non sentiva più grugnire l’animale, chiuse a chiave la porta e abbassò le persiane alle finestre. Forzò un cassetto. Trovò gli strumenti nefandi che egli usava per seviziarla. C’erano soldi, tanti ; tutti quelli che ella guadagnava nei lunghi giorni di faticoso lavoro e che era costretta a consegnare al suino con precisa scadenza. Poi c’era un taccuino con annotazioni di sevizie. Al buio, Angiolina prese una birra dal frigo, si sedette sul bordo del letto. Bevve fino all’ultima goccia facendo scendere tutto l’amaro. Si addormentò esausta. Il giorno nuovo le avrebbe riconsegnato la sua vita.
Marina Lorena Costanza

SEDUTO SUL BORDO DEL LETTO MI FINISCO UNA BIRRA NEL BUIO
La ventola sul soffitto gira, la stanza suda dalle pareti oramai grigie. Mancanza di luce e fumo è la tappezzeria che il mio modo di vivere ha scelto per rivestirle. E mi piace, non vedo me nella stanza, i bastardi vivono nel buio, bevono, fumano, scopano, se hanno voglia di scopare. Al mattino si ritrovano sul bordo del letto soli, il sole si è portato via il corpo che hanno fatto sudare tra le mani. Una bottiglia sul pavimento, la mattina hanno la bocca impastata di alcool e sesso, i bastardi. Non parlano. Vivo la mia vita al buio, brucerò al buio, ma ubriaco. Al buio riesco a riempire il taccuino di un vecchio porco, le memorie delle notti obnubilate dalla birra, offuscate dal fumo. La ventola è da riparare, toccano tra loro, sembrano i colpi secchi che sferzavo dentro il corpo di quella che è appena uscita dalla mia stanza. Era troppo pulita per me, Claudia, era troppo. Meglio soli, ora, con la mia birra in questo cazzo di buio che mi porto nell’anima.
Sharon Lake

LA RAGAZZA CHE SEGUIVO
Era iniziato come un gioco… solo uno stupido gioco…
La mia natura ad assecondarla in ogni suo capriccio, mi aveva reso cieco e non mi aveva saputo far cogliere i segnali del pericolo…
Dopo tre ore, mi accorsi dell’errore a cui non sapevo, se sarei mai riuscito a rimediare!
Col cacchio che la prossima volta ti accompagno a fare shopping!
Eleonora Desiderio

CE L’HANNO TUTTI CON ME
Mi hanno messo in carcere per otto mesi, ma questo è il meno.
È quello che dicono di me da quando sono morto che mi dà un po’ fastidio. Sono diventato un così pessimo esempio per grandi e piccini che neanche il lupo della favola di Cappuccetto Rosso è così infamato.
Eppure per molti anni l’ho sfangata alla grande. Folle urlanti più di Maradona al San Paolo; una carriera folgorante su e giù per l’Europa; ho sposato una bella valchiria bionda; ho scritto un best seller.
Eppure vedono solo i lati negativi della mia carriera!
E quella storia che ho una palla sola, poi…
Ah, quasi mi dimenticavo: mi chiamo Adolf Hitler, piacere.
Luigi Siviero

L’AMORE E’ UN CANE CHE VIENE DALL’INFERNO
Ti ho trovato sul ciglio di una strada.
Mi hai trovata sull’orlo di una crisi.
Tu solo. Io sola. Vagabondi di una vita infernale.
I tuoi occhi hanno incontrato i miei sussurrando un’emozione: amore.
Ti ho nutrito, curato, salvato. Mi hai guarita, salvata, resuscitata. Mentre prendo il guinzaglio ululi di gioia.
Usciamo insieme affrontando una nuova giornata. Scodinzolando alla nostra nuova vita.
Cinzia Colantoni

UNA NOTTE NIENTE MALE
La casa se ne sta zitta, adesso.
Marco dorme profondo, dopo aver fatto la solita finta: – Vuoi che vada io? -. Carattere perfetto, sfugge ai problemi della vita con abilità.
Giulia ciuccia avida, le son bastati quattro strilli ben piazzati per ottenere ciò che voleva. Carattere deciso, si imporrà nella vita.
Il mio piccolo Gian si è alzato con me e mi fa compagnia. La testa gli pende dal sonno ma la gelosia fa di lui quello che vuole. Non può lasciarmi sola mentre do il latte alla sorellina, mi si appoggia vicino, mi abbraccia. Carattere sensibile, soffrirà nella vita.
Anche questa sarà una notte niente male, da alcuni mesi le sto collezionando.
Dalla finestra vedo un albero nero piegarsi al vento, le prime gocce di pioggia schiantarsi sul vetro. Rabbrividisco, tornerei volentieri a letto. Ma la piccola non mi convince, se la metto giù piange, son sicura. Prendo in braccio anche Gian e lo rimetto nel suo letto. Mi ci siedo vicino, dondolo un pochino lei, intanto che accarezzo i capelli a lui. Carattere tenero, vita dura.
Cristina Cornelio

QUELLO CHE CONTA E’ GRATTARMI SOTTO LE ASCELLE
Che il mondo corra pure, che la gente si affanni quotidianamente per un ideale o per un tocco di pane. Per me sono tutti pazzi. Me ne frego del tempo che scorre e del futuro e di questa stramaledetta tecnologia. Io batto sui tasti della mia vecchia macchina da scrivere. E’ tutto ciò che mi serve insieme a un foglio bianco, tutto da inventare. Me ne fotto del progresso. L’arte non ha fretta, non ha tempo, non ha confini. L’arte è eterna.
Patrizia Benetti

IL SOLE BACIA I BELLI
Mi fermo sulla soglia della spiaggia. La rena bianca e calda mi scricchiola sotto ai piedi, il sole estivo rischiara la maschera di cicatrici e protuberanze ch’è la mia faccia.
Un essere deforme, ecco cosa sono.
Quand’ero piccolo gli altri bambini mi lasciavano in pineta, lontano da occhi indiscreti.
“Il sole bacia i belli” mi ripetevano.
Li sentivo ridere e giocare, mentre le lacrime mi tagliavano la faccia sfigurata.
In lontananza le onde del mare, le pallonate, la spensieratezza dell’infanzia.
I bambini sanno essere crudeli.
Guardo una coppietta abbracciarsi, isolata, stagliata contro l’azzurro dell’orizzonte. Lei è bionda e sensuale, lui muscoloso e affascinante. I raggi brillano sui loro volti perfetti, da copertina. Entrambi sono la somma di tutto ciò che non ho mai avuto.
Mi avvicino a loro.
Il vento m’inebria col profumo fruttato della ragazza.
Tengo una mano sulla cinta, l’altra sulla fronte per ripararmi dalla luce e non contaminare il paesaggio con la mia bruttezza.
Sono un mostro.
Spazzatura, vomito e sangue.
E lo si sa, il sole bacia i belli.
Così come la mia semiautomatica.
Samuele Fabbrizzi

LA SVASTICA
C’è un sole a strisce sulle vesti, in righe bianche e nere. E più delle sbarre, può la stoffa farsi prigione, se rifiuti le ombre di quel sole.
Il sole.
Il sole a quattro braccia.
Che rotola nel cielo, a scatti, giacché una mano primitiva ne ha scalpellato il bordo, le braccia uncinate aratro della storia, nel suo humus messo a nudo.
Una semina che è sepoltura. E niente di buono ne nasce, forse a primavera, fra un po’, millenovecentoquarantacinque.
Nel mentre, soldati contadini, zappe e vanghe nei fucili, la svastica appuntata sul petto, le braccia uncinate affondate nella carne, che girano e dilaniano.
E forse per questo non c’è più un cuore dentro che possa dirsi tale. O forse mai c’è stato, se si è scelto a stemma quel simbolo distorto.
Perché la svastica era il sole. Buono, caldo, eterno sole.
La svastica è ora ombra nera sopra il sole.
È notte, buonanotte, che Dio vi benedica.
Domani, forse, nel sole, una svastica che gira a rovescio, così com’era un tempo.
Anche se poi, ahimè, potrà mai portarci indietro.
Matteo Pisaneschi

A SUD DI NESSUN NORD
A sud di nessun nord, a nord di nessun sud…forse ad est, o forse no, ad ovest. Il dubbio di essere ovunque, in ogni istante. Essere in centro e girare su di sé, proprio come fanno le trottole. Girare, girare, girare. Boom. Un tonfo. La testa scombussolata, il corpo sdraiato a terra, il volto che piano piano si rialza. Stelle. Tante stelle. Stelle che ruotano in un movimento circolare. Un po’ a nord, un po’ a sud, un po’ di qua, un po’ di là.
Melissa Ci

PANINO AL PROSCIUTTO
Povero caro, sta riposando, finalmente!
Seduta, ai piedi dell’alto letto d’ospedale, osservo Angelo.
Gli occhi ombreggiati da folte ciglia, segnati da profonde occhiaie, sembrano più grandi nel viso scarno.
La chemio gli fa un effetto devastante, lo fa vomitare per ore, senza tregua, toglie quel po’ d’energia che gli rimane e che, con fatica, cercherà di recuperare e farsi bastare…fino alla prossima terapia.
E’ troppo giovane e forte per cedere, tiene duro, per fortuna!
Si sveglia e mi guarda.
Un mezzo sorriso conferma che il peggio è passato, dice : – Hai mangiato? – rispondo – No, non ancora – aggiunge – Mi sono svegliato perché sentivo profumo di panino al prosciutto, ne mangerei uno volentieri, me lo vai a prendere? E magari anche una Coca.
Stefania Fiorin

BIRRA, FAGIOLI, CRACKERS E SIGARETTE
Fred spalancò la porta ed entrò di corsa nella stanza. Nell’aria, un buon profumo di lavanda. Niente male per uno spray da discount. Si sedé goffamente, piegato in due dai dolori, e rimase in contemplazione del proprio riflesso sfocato sulla parete piastrellata.
“Con quali schifezze hai cenato stavolta?” gli chiese Chester, immobile.
La sua pelle di porcellana a trattenere il timido bagliore della luce artificiale.
“Cracker e birra.”
“Bugiardo.”
No, Fred non gliela raccontava giusta. I suoi calzoni puzzavano di rancido, effetto collaterale della colite. E quei brontolii intestinali…
“Dì un po’, mica hai mangiato fagioli?”
L’altro abbassò lo sguardo.
“Sei uno stronzo, Fred. E io di stronzi me ne intendo.”
“Scusa Chester…”
“No, sono stufo. Lo sai che ti fanno male, eppure non t’importa. Continui a spararmi merda in faccia. Per chi mi hai preso? Non sono un cesso dell’autogrill.”
Fred scoppiò in lacrime. Sapeva d’aver rovinato tutto.
Lo aveva deluso.
Era finita.
Nella sua mente, i bei momenti passati sulla tazza.
Tirò lo sciacquone e s’accese una sigaretta.
Dove avrebbe evacuato adesso?
Chissà se Chester avrebbe sbollito l’indomani…
Samuele Fabbrizzi

LE POESIE DELL’ULTIMA NOTTE DELLA TERRA
Sento la tua presenza. Ti avvicini, è L’Ora.
Sarai dentro di me e non saprò resisterti
Hai il fuoco dentro, sarai deflagrazione.
Poi, tutto svanirà.

Giacché gli assi roteano, come non dovrebbero
e i sette pianeti collassano, come non vogliono,
attrazione e respingimento non rispondono più.

Destino crudele, per me Pianeta,
che a te prono si arrende, mio Sole.
Tu che mi nutri, ora mi dai la morte.
Nell’ultima notte, scellerata stella,
sei pronta a uccidermi, inerme
e assieme a me uccidi l’Uomo, impotente.
Francesco Marcone

STORIE DI ORDINARIA FOLLIA
“Signora, si svegli”. Socchiudo gli occhi, non riconosco la voce, mi trovo davanti un tizio vestito di nero. E questa non è casa mia!
“Non si preoccupi, sono Ambrogio, si prepari l’aspettiamo di sotto. So che ha voglia di qualcosa di buono”
Sono sbalordita, che posto è?. Scendo le scale, mi ritrovo in uno stanzone con mola di mulino e tavola imbandita.
Antonio Banderas mi accoglie, con tanto di gallina sottobraccio. “Buongiorno Lucia. Questo è un mondo buono, la colazione è servita” “Ma è impossibile!!”
“Impossibile è solo una parola. E poi immagina, puoi!”
Inizio a mangiare, è tutto buonissimo, come natura crea.
“Più lo mandi giù e più ti tira su”. E’ un sogno, non rischio di diventare tutta ciccia e brufoli.
Però …. ragiono come negli spot pubblicitari, voglio svegliarmi!!!
“Tranquilla qui non vendiamo sogni ma solide realtà, solo fatti non parole”.
Mi agito, mi agito e finalmente mi sveglio, tutta sudata.
“Hai fatto un brutto sogno?”
“Era strano, sembrava così reale”.
“Sarà perché sei fatta della stessa materia di cui sono fatti i sogni!”
Lucia Amorosi

NIENTE CANZONI D’AMORE
Sei alla guida, segui la strada, eppure interferisci.
Sei cinica, sai? A volte stronza. Ma mi fai sangue, come nessuna.
Dici ‘La scopata migliore è quella che non hai fatto ancora’.
Quindi stiamo insieme per scopare sempre meglio?
Non è per me. Chiamami stupido ma credo alle balle sull’amore.
Ancora un po’, poi smetto. Quella stronza mi ha mollato, ricordi? Ha lasciato la città con quell’altro e coi figli che ha messo al mondo con me.
Resta l’alcol, ma non puzzerò mai come un ubriaco.
Resta il cibo, ma non metterò la pancia.
Ho avuto molte donne, in ognuna di loro trovavo qualcosa, pur inseguendo qualcuno.
Ora ho te, che ti sei presa l’anima ma tieni lontano il corpo.
Cucini bene, mi offri del buon vino. Mi dai sesso, eccellente ma scarso. Io sempre arrapato, tu che mi respingi.
Respingi anche l’amore, lo vedo dalle piccole cose.
Come in macchina.
Trovo una stazione alla radio, una canzone che mi piace e tu allunghi la mano, cambi, poi infastidita e fredda, fissando la strada, dici “Niente canzoni d’amore.” E io sprofondo.
Francesco Marcone

TUTTO IL GIORNO ALLE CORSE DEI CAVALLI E TUTTA LA NOTTE ALLA MACCHINA DA SCRIVERE
Si, va beh, dopo una settimana ero già stanco di quel tipo di vita, tanto mi stavo pisciando quegli ultimi quattro dollari all’ ippodromo, soldi che non riuscivo nemmeno a recuperare in parte scrivendo di notte.
Però quel maledetto cavallo doveva vincere prima o poi, lo aveva già fatto in precedenza e non poteva mancare molto per una sua prossima vittoria.
Puntai su di lui tutto quello che avevo il giorno che l’ editore del giornale mi disse che mi avrebbe presto rimpiazzato se continuavo a scrivere articoli di merda, così mi disse.
Persi tutto, presi la mia Smith & Wesson e la puntai alla tempia… poi mi fermai, ricordando dove potevo andare a vendere la macchina da scrivere per poter fare un’ultima puntata su quel cavallo maledetto ,anche se questa fosse stata l’ultima insignificante notizia della mia vita di scrittore di cronaca nera .
Claudio De Maria

SANTO CIELO, PERCHÉ PORTI LA CRAVATTA?
Scena 1- Interno giorno mattina – camera da letto
Un uomo a letto ancora assonnato e una donna in piedi pronta per uscire.
Lei: “Dai alzati. Dobbiamo andare”
Lui si alza con aria assente e prepara la valigia.
Lei ridendo: “Santo cielo, perché metti la cravatta? Andiamo al mare per un giorno”
Lui: “E’ la mia preferita!”
Patrizia Paesani

URLA DAL BALCONE
Apro finestre
che non ho.
Lancio sassi
che diventano macigni.
Invento silenzi
che sono tuoi.
Urlo silenzi
che scappano
da me.
Altalenante
Metodo
di persuasione
infantile.
Apro balconi,
nelle fredde
sere,
tu sei lì,
urlo, dal balcone.
Finalmente.
Anna Dixie

PULP. UNA STORIA DEL XX SECOLO
Ieri notte un uomo era in bilico su un cornicione.
Un gatto randagio rovistava nell’immondizia.
Una prostituta ed un viaggiatore facevano l’amore in un motel.
Chet Baker suonava l’ultimo pezzo al Bop City; una donna sola ascoltava.
Due malviventi contavano i soldi di una rapina nel loro appartamento.
Un vagabondo osservava l’uomo sul cornicione.
Oggi nevica ed una donna corre per non perdere l’autobus.
Uno strillone distribuisce l’edizione del mattino del San Francisco Chronicle.
Il direttore della Bank of America riceve due nuovi importanti clienti.
Due poliziotti entrano in un motel per ispezionare la scena di un duplice omicidio.
Un uomo ascolta un vagabondo fischiettare un motivo di Chet Baker.
Il Sacramento scorre, come sempre.
Marcello Mora

SOTTO UN SOLE DI SIGARETTE E CETRIOLI
Si abbronzarono felici il fumatore e la moglie trascurata.
Sonia Tortora

MUSICA PER ORGANI CALDI
Ai tempi della mia adolescenza, non erano molti i diletti delle fanciulle in fiore.
Ricordo con nostalgia le lezioni di educazione musicale che erano il preludio, per le più predisposte, di una sfolgorante carriera come concertiste poli strumentali. Invero, anche le meno abili potevano, con esercizio e costanza, erudirsi nella materia e ricavarne soddisfazione.
Oh, non pensiate che ci mettessero subito a disposizione un organo! Bisognava prima imparare la teoria e impratichirsi nel solfeggio. Così, si andava avanti per mesi allenando la mano in “battere e levare”.
Solo quando eravamo abbastanza esperte, e non ne potevamo più degli esercizi solitari, passavamo a quello che era lo strumento musicale più evocativo e democratico: il flauto dolce.
Chi di noi ragazze non ha posseduto un flauto?
Era facile trovarli, ne esistevano di ogni foggia e dimensione, e tutti, stretti tra le dita dapprima impacciate poi sempre più abili, e sollecitati debitamente con le labbra, producevano una gratificante melodia.
E che gioia sentire il fusto cilindrico riscaldarsi allo sfregamento dei polpastrelli ed emettere note vibranti di soddisfazione!
Ah… quella sì che era musica…
Anna Rita Foschini

COMPAGNO DI SBRONZE
Mi inebria.
Mi anestetizza.
Mi fa girare la testa.
Mi confonde, fino a farmi credere di esserci anch’io lì dentro. Tra le pagine.
Io mi ubriaco di libri.
Lucia Cabella

TUTTI GLI ANNI BUTTATI VIA
Ho incontrato casualmente tua madre al supermercato. Ci siamo quasi urtati nel reparto surgelati. Non era sola. L’accompagnava con solerzia un tipo con tanto di barba e occhiali che la faceva apparire, per contrasto, ancora molto giovane e sempre bella. Ho sentito il solito tuffo al cuore e un miscuglio di troppa consuetudine passata e troppa distanza presente. Mi ha guardato come al solito, intensamente, nella luce di quel taglio allungato d’occhi, quasi amorevolmente. Mi ha chiesto come stavo, ma sembrava un po’ imbarazzata, quasi a disagio.
E io che potevo dirle, che passo giorni senza senso, che sono finalmente entrato di ruolo e non me ne frega niente?
Non ho provato gelosia, né invidia. Spero che a lei vada meglio, se lo meriterebbe. Davvero.
Le ho chiesto poi di te, di come andava. Ti vedo così poco ormai. Ma la scelta è solo mia. Mia la colpa. Me lo ha ricordato la sua risposta fredda e la luce dei suoi occhi che si è spenta.
Ci siamo salutati e riparati al sicuro dei rispettivi carrelli della spesa.
Mauro Barbetti

NON C’E’ NIENTE DA RIDERE
Mi capita di leggere pagine
che so di aver già letto
eppure non ne ricordo neanche una parola.
Le cose che poi vorrei dimenticare
come gli sgarbi subiti,
le parole ingiuriose,
gli atteggiamenti di sufficienza,
quelli li ricordo tutti
e con dovizia di particolari.
Allora rido
per mandarle via,
per sminuirle.
Rido e so che è il pianto adulto
è la rassegnazione,
la consapevolezza dell’irrimediabile.
Proprio non c’è niente da ridere
su un uomo che ride.
Franca Riso

QUANDO MI HAI LASCIATO, MI HAI LASCIATO TRE MUTANDE
Io mi faccio troppe domande,
perché solo tre mutande?
Guardo sconsolato il cassetto
E ripenso a quel giorno maledetto
Quando tu “ti amo” hai detto
Ed io mi sono rigirato nel letto
Il silenzio è calato tra noi
Ed io ho evitato gli occhi tuoi
il nostro amore non è sopravvissuto
a quel lungo minuto.
“Ti amo” ora vorrei gridare
Ma tu non sei qui ad ascoltare.
Patrizia Paesani

SPEGNI LA LUCE E ASPETTA
Che arrivi.
Che arrivi un sonno ristoratore.
Che faccia il suo dovere
ed allontani un dolore.
Quel dolore che ha il tuo nome, ma
ancora non ha confini e non sa limitarsi.
Che arrivi.
Che arrivi il giorno splendente.
Che faccia il suo dovere
e scelga una primavera.
Quella primavera che mi faccia volare
oltre la stanza, i prati, i fiumi ed il mare.
Che mi porti al di là di te.
Paolo Amato

I CAVALLI NON SCOMMETTONO SUGLI UOMINI (E NEANCHE IO)
Dodo, anche con i suoi 27 anni suonati, è ancora uno stallone. Con quei suoi occhi grandi e vitrei, la figura possente ma comunque slanciata.
Ha dovuto faticare molto per arrivare dov’è ora e non rimpiange nulla.
A Dodo non piacciono le corse, preferisce farle piuttosto che assistervi; ma quella di oggi è un’eccezione: bisogna saper vincere le proprie riluttanze e Dodo è un osso duro.
È Cetta, la sua compagna, ad affiancarlo, quando passa di lì un uomo, altezzoso e gonfio per la sua postura.
“Se vuoi puntare su qualcuno… quel qualcuno sono io.”, dice l’uomo a Dodo con fare grande e superiore.
Dodo mostra la dentatura pronunciata nella risata cavallina che segue, con il taglio che si arriccia appena sopra il naso. “L’unico su cui punto sempre è me stesso, poiché mai ho e avrò da perdere, e la prima vittoria è mettermi in gioco.”, così conclude Dodo e la risata non è solo la sua, ma degli stessi uomini che mai scommetterebbero su loro stessi.
Rita Bernardi

FACTOTUM
Cambiare?
Come cambiare? Questo deficiente di tecnico informatico blatera di RAM, di processore, di sistema operativo.
– Vedi, Marta, Windows XP non avrà più aggiornamenti, sarà vulnerabile ai virus e poi solo un giga di RAM…
Questa è la riconoscenza!
Hai dimenticato, mia cara Marta, quando correggevo tutti i tuoi testi scritti con Word che tu riempivi di “xké” e di “cmq”, delle tue formule sconclusionate in Excel, delle tue ricerche su Google che, se io non le avessi migliorate, non avrebbero trovato assolutamente nulla. E tutti i virus che rischiavi di prenderti dalle e-mail delle tue amiche e che io neutralizzavo.
E ora vengo rottamato come il frullatore o il tagliaerba!
Lo scatolone con il PC nuovo giace, abbandonato, nell’angolo della camera. Ti vedo nel buio sul letto, singhiozzante, non esci da una settimana. Controllo quante visualizzazioni ha avuto il video. Cinquecentomila, niente male. Io finirò nell’immondizia, ma tu, Marta, sarai ricordata a lungo su Youporn.
“Con una mano, una mano, ti sfiori, tu, sola dentro la stanza e tutto il mondo fuori.”
Lodovico Ferrari

SO BENISSIMO QUANTO HO PECCATO
Non credevo…un vero tribunale. L’angelo alla tua destra elenca i peccati. Obietto: “mi avevano detto che con la Confessione si estinguevano”. “E’ prevista l’elencazione”, mi si risponde. Allora, sarà lunga. Quando termina, noto che l’amore, anche quello solo carnale, scambiato con le donne della mia vita non entra nella lista. Me ne inorgoglisco. Ora inizia quello a sinistra: elenca le “opere pie”. Stavolta è veloce. Ho come l’impressione che non deponga bene. Mi si cede la parola… “aliti su un aggrovigliato sistema di molecole. E nasciamo. L’alito resta sepolto dentro. Non sappiamo perché; ma lo portiamo in noi. Portiamo il suo peso nei nostri occhi. Lo facciamo avanzare ad ogni battito del cuore, ad ogni emozione. Poi lo passiamo ai figli e veniamo dimenticati. Siamo usati. Non dovremmo, almeno, sapere perché? E, scusa…non sembri molto presente nelle vicende umane, sai?”. Allora parli. Sento la Tua voce, nella mente. La Tua, nella mia. “So benissimo quanto anch’Io pecchi”.
Roy Roberto

E COSÌ VORRESTI FARE LO SCRITTORE?
– Sai cosa mi piace dell’inverno?
– La zuppa di fave di tua madre?
– No, mi piace questo cielo blu cobalto dopo il maltempo.
– E che ci fai con un cielo blu cobalto?
– Niente, ma è bello guardarlo.
– A te cosa fa venire in mente questo azzurro?
– La maglia della nazionale!
– A me invece fa venire in mente quelle stradine dove si scorge, in fondo, uno spicchio di mare. E mi immagino bambini che corrono e il rumore dei loro scarponcini. Mi immagino madri spazientite che parlano tra di loro, mentre guardano i loro figli sul bagnasciuga. E sento l’odore della salsedine e del latte solare.
Guardo il cielo e mi viene voglia di riempire pagini di emozioni, di ricordi, di parole…
– Come uno scrittore?
– Si, come uno scrittore.
– Così, vorresti fare lo scrittore?
– Si, papà, è proprio quello che desidero fare.
– Bravo, ma ora risali sul trattore che abbiamo ancora qualche ora di sole per poter lavorare. E poi ci aspetta la zuppa di fave.
Marcello Perugia

CAPITOLO III

CAPITOLO III

SCRIVO POESIE PER PORTARMI A LETTO LE RAGAZZE
SCRIVO
Ed è qualcosa di te sussurrato
un migrare di scarabocchi
POESIE
nate per caso che serrano le labbra
e scendono al cuore.
PER PORTARMI
a te che del mio scrivere
attendi il bacio
A LETTO
con gli occhi che sorridono
mentre un pensiero
ti avvicina alla mia mano
LE RAGAZZE
come le altre avevi grandi sogni
infranti al cospetto di parole vuote.
( i poeti che brutte creature)
Paolo Amato

L’UBRIACONE
(sottotitolo: E…)
E ti senti una merda. E ti alzi con la bocca che sa di amaro e la testa che sembra staccata. E dici: “stavolta smetto”. E ci pensi, un ora, due ore. E la vedi. E ti fissa dal tavolo, quella stronza bottiglia di whisky. E te ne vai, sperando che restarle lontano sia la soluzione. E ti senti inadeguato. E pensi che gli altri sono meglio di te. E la desideri. E speri nel suo oblio. E sogni che la gente ti apprezzi, ma non lo fa. E cedi a lei. E la apri. E senti il fuoco scendere nella gola e il cervello che si stacca dalla testa. E ti senti bene. E sai che, domani, sarà ancora peggio.
Lodovico Ferrari

QUANDO ERAVAMO GIOVANI
La cena era alle otto; arrivai alle nove. Temendo noia o litigi m’ero fatto una supermega canna a metà percorso. Colpa del fumo, della mancanza di senso dell’orientamento, del navigatore sconfitto dalle colline, e dalle indicazioni di Giorgio, a mio avviso, appositamente imprecise.
“Alla rotonda dell’Esselunga di Castello prendi la destra, dopo qualche chilometro c’è un incrocio, prendi la strada della cappelletta, prosegui sino allo spiazzo sulla sinistra, superalo, entra nello sterrato a destra, passa le case in legno e parcheggia dove puoi. Un chilometro a piedi, attento che il sentiero si biforca, arrivi al ruscello, passi il ponticello in legno e ci sei!”
La canna me l’ero fatta alla cappelletta, poi m’ero comodamente disperso.
Trovato e superato finalmente il ponticello ero uscito dalla macchia boschiva ed eccola lì, una baita di collina, bassa e rustica, con un accanto un pozzo e un forno in mattoni. Nell’ampio spazio davanti c’erano parcheggiate le macchine degli amici: due Mercedes, una Bmw, una vecchia jeep militare perfettamente tenuta. Ci si arrivava comodamente in auto. Il solito scherzo idiota. Come quando eravamo giovani.
Graziano Gattone

CONFESSIONI DI UN CODARDO
La puzza di questa città che conosco a malapena mi impregna i vestiti. Me la porto addosso, tra i capelli e sulle mani e nelle mutande. Di notte mi sveglio e la sento, ferma sul mio letto, come una coltre di nebbia, come un lenzuolo sospeso.
La puzza di questa città somiglia all’odore acre di carne putrefatta, di pelle secca e di morte.
La puzza di questa città sono io, sono io che ho smesso di vivere per paura di vivere, che ho smesso di crescere per paura di invecchiare. Sono io che ho barattato i miei 30 anni con una dose di giovinezza fasulla, ma sono morto.
Si, la puzza di questa città mi ricorda che sono morto, ma non abbastanza morto per renderti orfano, come ti hanno fatto credere per 18 anni.
Certe assenze diventano presenze mai esistite e certe bugie ripetute troppe volte diventano verità. Ed io, io non ci sono mai stato facendoti credere di essere morto.
Perdonami. Perdonami come si perdona un farabutto, un codardo. Perdonami come si perdona uno sconosciuto.
Buon Compleanno.
Papà.
Marcello Perugia

DONNE: LADY “D”
Donna,
delicato dono di Dio!
Diabolico disegno di desiderio!

Dedalo divino di delizie
dove dignità dimora,
dimostri dovunque doti, dirittura, decoro.

Diva determinata,
dapprima divampi, dilaghi, dardeggi,
dopodiché dialoghi docile, devota, disarmante.

Dama dannatamente despota,
dirigi, disponi, domini,
dipoi diventi democratica, dimessa, disponibile.

Dea della disciplina domestica,
dispensi doni, discrezione, dolcezza,
distrai dai diluvi dei dispiaceri,
difendi dai deliri della disperazione.

Disinteressata, dai dritte.
Disillusa, dissuadi.
Dissacrante, diverti.

Dogma di danno durevole,
desiderosa di destino diverso,
diventa difficile dimenticarti.
Claudio Sara

NOTTE IMBECILLE
Dietro i vetri di una finestra chiusa
guardo fuori nel buio la pioggia battente.
I miei sensi, espansi all’ennesima potenza,
quasi percepiscono il suono
di ogni singola goccia d’acqua
che cade sui ciottoli del cortile.
Il tuo biglietto, stropicciato tra le mani,
ancora una volta mi ricorda
che ormai non ci sei più.
Più niente delle nostre passeggiate al crepuscolo,
più niente delle nostre serate accanto al camino
a raccontarci le cose del giorno trascorso
Una telefonata nella notte e
tutto è cambiato in un lampo.
Lo stridio dei freni sull’asfalto
e la tua vita, la mia vita, hanno smesso di esistere.
In questa notte imbecille
che senso ha continuare a ricordare
Come le gocce di pioggia
che si dissolvono al suolo,
così la mia vita, allo stridio di quei freni.
Annamaria Vernuccio

SHAKESPEARE NON L’HA MAI FATTO?
– Oh, Romeo, Romeo, indo’ tu vai così di buon’ora? L’è ancora buio, un tu lo vedi?
– V’ingannate madonna Giulietta: il cielo sta per tingersi dei colori dell’alba. Non udite il dolce canto mattutino dell’allodola?
– Vien via, grullo! Codesta un l’è l’allodola, l’è l’usignolo che bercia su i’ melograno e ci frahassa i timpani. L’è peggio d’un gatto nero attaccato ai marroni, maremma buhaiola!
– Deh, mia diletta, il vostro linguaggio non si addice a una leggiadra fanciulla quale voi siete. Colui che ci creò si rivolterebbe nel sepolcro, se potesse udirvi. E pensare che venne perfino a risciacquare i panni in Arno…
-Sie! Icché tu dici, bischero? Quello l’era i’ Manzoni. Shakespeare un l’ha mai fatto di veni’ a sguazzare in Arno. Poi, che c’hai da ridi’ sul mi’ idioma? Miha son fatta della materia de’ sogni, io! Son tutta un foho, c’ho i’ chianti che mi ribolle ni’ sangue! Dunque, lascia stare codesti uccellacci e torna ni’ letto, che ti do una ripassata che te la rihordi per tutta la tu’ vita.
Anna Rita Foschini

CENA A SBAFO
Lawrence si guardò rifletto nel calice di vino rosso. L’annata non aveva importanza, tanto non lo avrebbe pagato.
Lawrence. Nome nobile per un mentecatto.
Anche se vestito così, aveva un certo fascino; giacca, cravatta, capelli impomatati.
Il lampadario di cristallo del ristorante intrappolava riflessi d’arcobaleno in gocce. I tavoli brulicavano di imprenditori snob, mogli frigide e rampolli viziati. La cosiddetta crema dell’alta società.
Clientela prevedibile per un posto come quello.
Lawrence abbassò gli occhi sugli avanzi del filetto al pepe verde. Antipasto, primo, secondo e vino, per un totale di centodieci euro, minimo.
Assurdo.
Si frugò nella giacca e prese il kit d’emergenza.
Capelli, vetri o moscone?
Chiuse gli occhi e si appellò al metodo Stanislavskij.
“Oddio, potevo morire” cominciò a sbraitare, furioso.
“C’è un pezzo di vetro nel mio piatto.”
Il cameriere arrivò di corsa, imbarazzato e ricurvo, sfoderando scuse e giustificazioni.
“Non so come sia successo sir” piagnucolò. “Naturalmente offre la casa.”?”Lo credo bene, volevate uccidermi.”
Lawrence uscì dal locale, indignato, fra gli sguardi attoniti dei presenti. Missione compiuta.
Ormai era un esperto, di cene a sbafo.
Samuele Fabbrizzi

IL CRIMINE PAGA SEMPRE
Mi sedetti. L’ombra lunga dell’albero sembrava una freccia che puntava verso mio futuro. Aprii quel libro che sapeva di famiglia, di casa. Rilessi quelle parole: “”No, adesso non posso pensare – si diceva – dopo, quando sarò tranquilla” – ma questa tranquillità per riflettere non veniva mai” e poco dopo Anna Karenina si sarebbe gettata sotto il treno.
Amavo quel libro, amavo mio padre, ma nessuno amava me.
Lo gettai sull’erba insieme al blocco di carta e alla matita che avevano raccolto i miei pensieri più intimi. Presi la scatola di fiammiferi dalla tasca dei pantaloni, ne accesi due e affidai al fuoco il compito di incenerire la mia vecchia vita.
Fragili brandelli di carta bruciata volavano nel vento, neri come la mia nuova anima.
M’incamminai sul sentiero che mi avrebbe riportato al paese. Non sarei più tornato in quel luogo.
La sera seguente, mentre affondavo il coltello nella gola di quella ragazza, sentii di avere compiuto il grande salto. Ero un carnefice, finalmente, non più una vittima.

Michael fu arrestato, anni dopo, con l’accusa di avere ucciso otto studentesse. Sembrava felice.
Lodovico Ferrari

IL PRIMO BICCHIERE, COME SEMPRE, È IL MIGLIORE
Il primo bicchiere, come sempre, è il migliore: soprattutto se è anche l’ultimo!
Luigi Siviero

TACCUINO DI UN VECCHIO PORCO
Taccuino di un vecchio porco:
– Grugnire.
– Grufolare.
– Conoscere biblicamente la scrofa.
– Fumare.
– Grufolare.
– Grugnire.
– Dormire.
– Grugnire dormendo.
– Comporre una poesia sui grugniti in endecasillabi martelliani.
– Sguazzare nel fango.
– Sguazzare nello sterco.
– Grugnire.
– Guardare Peppa Pig.
– Sguazzare nello sterco.
– Conoscere biblicamente la scrofa.
– Fumare.
– Conoscere biblicamente la scrofa.
– Fumare ancora.
– Mordere la mano che mi nutre (così, perché mi va)
– Grugnire.
– Grugnire.?
– Osservare le stelle.
– Ancora grugnire.
– Grufolare.
– Allenarsi a fare finta di niente (per quando verranno a prendermi)
– Scavare un tunnel in una parete.
– Coprire il tunnel con un poster con sopra una bella maiala.
– Consueta partita a scacchi.
– Grugnire.
– Dormire.
– Forse sognare.
Maurizio D. Capuano

SEDUTO SUL BORDO DEL LETTO MI FINISCO UNA BIRRA NEL BUIO
E’ tutto quello so fare adesso.
Lavoravo al Circo della Luna. Ero nato lì.
Mio pare era nato lì, faceva il lanciatore di coltelli.
Anche mia madre era nata lì, faceva le acrobazie sui cavalli.
Io ero bravo con la acrobazie sui cavalli, ma mio padre diceva che non era una roba abbastanza da maschi , per i maschi ci voleva una cosa che uno doveva dimostrare di averci il sangue freddo come l’acqua che scorre sotto la superficie ghiacciata del fiume d’inverno. Deve scorrere così freddo e così lento che il battito del cuore non lo devi sentire.
LulaBelle aveva degli occhi verdi come i prati a maggio. Era così esile che appesa alla ruota di legno sembrava una bambina, ma con lo sguardo fiero e diritto.
A me però non scorreva sangue ghiaccio nelle vene, io tremavo quando c’era lei, forse l’amo, così pensai.
E un giorno la mia mano vacillò.
Mariella Giunta

LE DONNE CHE SEGUIVAMO
Anche quel giorno avrei dovuto seguire mia sorella Lucia. Bene: meno compiti. Il peggio era sopportare Salvatore, fratello della sua amica Filomena. Uscivano sempre insieme, guardavano le vetrine con vestiti attillati, scarpe coi tacchi alti, poi abbassavano gli occhi sui calzini corti e le scarpacce rozze e ridevano per consolarsi. Non capivo quei divieti, quelle botte da parte di papà: mia sorella era dolce e buona . Salvatore sbuffava: – Bah! Femmine!- Per seguirle doveva rinunciare alle corse in bici e alla pesca di rane da torturare.
Al mercato si fermammo a rovistare tra petardi e castagnole ; un attimo e le ragazze erano sparite. Salvatore corse per la piazza infilando lo sguardo in ogni viuzza. Lo seguii . Entrò in un cortile:
– Che zoccola!- mi alitò stringendo gli occhi, poi partì a razzo verso casa. Dietro l’angolo mia sorella stringeva le mani di un ragazzo, sorrideva. Salvatore era lontano, non avevo avuto la prontezza di bloccarlo. Davanti a me già vedevo le cinghiate di mio padre frantumare la felicità di Lucia. Mi girai contro il muro e piansi.
Consuelo Lanzara

CE L’HANNO TUTTI CON ME
Sono tormentato. Segregato, in casa, guardo i piatti da lavare. Ho i piedi gelidi.
Fuori è caldo, la luce entra e mi dice che c’è il sole e persino la vita. Chi lavora, chi si procura il cibo. Chi lotta per non scolorirsi.
A me non va. Sbiadite voi, umani. Io mi angustio coi miei mostri che mi dicono “Buongiorno” e mi mantengono vivo.
Social maledetti. Non si deve sapere che sono nato, un oggi di molti anni fa.
Ce l’hanno tutti con me.
Mi aggrediscono. La mia prima moglie, una stronza. Mio figlio, che è diventato come lei. ?Persone schifose. Io non sono migliore, ma neanche peggio.
Non mi ammazzerò, tranquilli. Voglio che siate voi a farlo.
Tonia mi telefona: “Buongiorno, amore.” e mi sciolgo.
Lei ama il buono che è in me, dice che ce n’è.
Ehi, specchio, mi perdo qualcosa?
Vediamo. Niente pancia, nessun capello bianco, il coso che penzola e funziona. Sorrido. Penso alle parole di Tonia, caramellose. “Buon compleanno, amore. Vieni da me, stasera?”.
Francesco Marcone

L’AMORE È UN CANE CHE VIENE DALL’INFERNO
Lui è sdraiato, nudo, con mani e piedi legati alle quattro estremità del letto.
Anche lei è nuda, ma è in piedi ed impugna un coltello.
È stato lui a chiedere a lei di essere legato, per provare un nuovo gioco erotico, l’ennesimo gioco erotico. Ora è terrorizzato e la implora, singhiozzando le dice che la ama, che ha bisogno di lei.
Lo sguardo di lei è duro, freddo, determinato. Per un po’ ascolta le sue suppliche e poi si avventa su di lui. E colpisce. Una, due, dieci volte. Lui urla, si dimena, ma è impotente. Lei continua a colpire. Con forza. Con ferocia. Con rabbia. Colpisce fino a quando sente che il corpo di lui non si muove più.
Allora si ferma, avvicina il viso a quello di lui, lo bacia sulle labbra e gli sussurra all’orecchio “ti amo anch’io”. Infine sputa sulla nudità del padre.
Marcello Mora

UNA NOTTE NIENTE MALE
Silenzio. Finalmente dorme e ha smesso di urlare.
Mi godo la quiete di questa dolce notte di primavera. Mi arrivano rumori lontani che solleticano le mie orecchie stanche di sentire le solite lamentele, “è solo colpa tua”, “non mi stai mai a sentire”, “te l’avevo detto”… Penso con angoscia che domani sarà il mio primo giorno da pensionato e non avrò più requie. Sento il richiamo di un uccello, il rumore della risacca, il frinire dei grilli.
Ecco, questo è tutto ciò che voglio sentire. Sarebbe bello avere un filtro che seleziona solo i rumori piacevoli. Si fa strada un’idea, sono abbastanza anziano da poter essere un po’ duro d’orecchi. Mi fingerò sordo, poco per volta lei la smetterà di strepitare! Smetterò anche di parlare, tanto per lei dico solo scemenze. Sentirò solo ciò che voglio e non parlerò più perché tanto non ho niente da dire. Sorriderò, perché i sorrisi non rompono il silenzio e se piangerò lo farò vicino al mare che con la sua voce coprirà i miei singhiozzi. E’ un’idea niente male, davvero niente male.
Maluna Viola

QUELLO CHE IMPORTA E’ GRATTARMI SOTTO LE ASCELLE
Tanfo. Olezzo. Puzzo. L’aria è ancor più irrespirabile stamane al lazzaretto. Qualcun altro ricoverato in questo gelido androne deve essersene andato, lasciando qui il suo odore. Mi abituerò anche a questo. Già mi sono abituato al dolore, al costante stato febbrile e all’idea che questo tetto di legno sarà l’ultima cosa che vedrò. Ma vi è una cosa cui non mi abituerò mai. Al prurito causato da quei neri e sempre più ingombranti bubboni sotto le ascelle. Provando sempre più pena e disgusto per me stesso cerco di dare sollievo alla mia anima nell’unico modo che conosco. L’unghia del dito medio della mano destra è quella più lunga ed efficace. Sgrat sgrat. E torno a respirare.
Cinzia Colantoni

IL SOLE BACIA I BELLI
Si, lo sappiamo, lo dicono tutti: il sole bacia i belli!
Non c’è bisogno di ripeterlo continuamente. Noi ne siamo consapevoli, da sempre.
Abbiamo grandi occhi, vispi e assonnati. Il nostro corpo è elegante, con un pelo lucido e morbido.
Siamo affettuosi e abbiamo voglia di coccole, ma siamo anche indipendenti. Saggi, molto saggi.
Misteriosi e giocherelloni. Siamo anche dolci, però. A volte abbiamo voglia di solitudine, ma quando abbiamo fame, diventiamo molto socievoli. Furbi, molto furbi.
I gatti, belli e affascinanti!
Daniela Rossi

SVASTICA
Guardava oltre il ferro acuminato
dove nulla era perduto
Anna raccontava magiche storie di poeti
musicisti e giocolieri
Danzava al suono dei violini
con il fuoco dentro il cuore e
nella memoria una svastica
Marina Lorena Costanza

A SUD DI NESSUN NORD
Sbarcammo di primo mattino, girovagammo per mesi. Con la Crisalide, un maestoso veliero portoghese, partimmo alla volta dell’avventura.
La nave ondeggiava fra spumosi zampilli d’acqua salata, profumo di noi, gente di mare.
Sembrava che cielo e mare si specchiassero. La linea dell’orizzonte era impercettibile e l’oceano era infinitamente limpido e azzurro.
Trascorsero infiniti giorni ed infinite notti e le stelle, incastonate come diamanti nel cielo, s’improvvisavano bussola per noi naviganti.
Sbarcando a notte inoltrata, godemmo di uno dei più bei spettacoli che la natura potesse regalarci a sud di nessun nord: l’aurora boreale.
Partimmo di primo mattino, il mondo era ai nostri piedi.
Vincenzo Attolico

PANINO AL PROSCIUTTO
Avevo tanti ricordi, tanti profumi
e foglie da conservare. Restavano quelli, ed il sapore di un bacio perduto. Rimanevano i lividi ed i tormenti. Raccoglievo giorno per giorno le tue malinconie facendole mie. Consapevole di amarti. Conservavo le scarpe, i tacchi, la valigia, le foglie di tiglio e di betulla. Calle essiccate nei libri, conservavo ipotesi. Ogni volta che sentivo il sapore ed il profumo di un panino al prosciutto, pensavo a te.
Sinestesie dell’amore vissuto. Raccoglievo memorie e ricordi.
Raccoglievo speranze andate. Rubavo il tuo amore.
Anna Dixie

BIRRA FAGIOLI, CRACKERS E SIGARETTE
Sto vivendo una situazione anomala: è la prima volta che mi ritrovo di sera sola in casa.
I ragazzi sono partiti stamattina per la colonia e mio marito tornerà soltanto domani da una trasferta di lavoro.
Ovviamente non ho nessuna intenzione di mettermi a stirare o a cucinare, Voglio godermela. In tv non c’è nulla di decente, per una volta che potrei scegliere io il programma, e mi accorgo di non avere nessun libro stimolante. Opto per un buon bagno e la musica a tutto spiano.
Poi mi ricordo di non aver fatto la spesa. Mi ritrovo così davanti alla tv a guardare una cacchiata di sceneggiato in compagnia di fagioli e crackers. Voglio rovinarmi, stappo una birra e mi accendo una sigaretta. Mah … dopotutto non è così male.
Lucia Amorosi

LE POESIE DELL’ULTIMA NOTTE DELLA TERRA
Aprii gli occhi nell’oscurità e fra le esplosioni. La testa mi scoppiava, in bocca il cattivo gusto del cibo rimescolato all’alcol: il rigurgito dell’ultima sbornia. Puzzavo. Dovevo alzarmi. Lavarmi. “Cristo, tutto trema e non si vede un cazzo”. Anche il letto puzzava. Richiusi gli occhi stringendo fra le mani le tempie. Il sangue pulsava. Tutto pulsava. Non ricordavo neppure com’ero arrivato a letto. Dovevo esserci crollato. Sarei tornato volentieri nell’incoscienza del sonno, ma rimbombava ovunque, dentro e fuori di me. Feci forza sul braccio destro, mi tirai seduto, riaprii gli occhi. Più che vederlo sapevo che sul comodino c’era l’interruttore della luce: lo pigiai. Il chiaro deflagrò come le continue esplosioni. “Cazzo sta succedendo?” Accanto ai miei piedi una bottiglia riversa e dei fogli sparsi. Ne raccolsi uno intonso, lo appoggiai sul comodino, c’era una penna, scrissi a fatica:
il mondo vomita la propria fine
come un ascesso che tracima pus
Un allegro jingle uscì dal cellulare. Risposi. Era Carlo che urlava come un dannato:
“Buon anno pirlottone. Cazzo! te la stai proprio spassando… si sentono i botti dal telefono”
Graziano Gattone

STORIE DI ORDINARIA FOLLIA
“Vorrei una farfalla”, disse la ragazza a Manuel.
“Ok. Accomodati. Come ti chiami?”, le chiese preparando gli strumenti per il tatuaggio.
“Barbara”.
“Bel nome. Ti si addice”.
“Davvero? Perché?”, chiese incuriosita.
Perché in te c’è una bellezza selvaggia”.
“Quindi ti piaccio”, sorrise maliziosa.
“Davvero tanto. Per questo ti farò un tatuaggio speciale!”, esclamò infervorato. Quindi cominciò a iniettare l’inchiostro nel candido seno di Barbara.
Lei lo osservò silenziosa.
“Ho finito. Puoi guardare”, disse Manuel soddisfatto.
“Oh no!”, urlò la ragazza, “Che orrore! Questa farfalla ha un’ala spezzata”.
Poi indietreggiò terrorizzata mentre l’uomo avanzava con fare minaccioso. Manuel stava per scrivere l’ultimo capitolo della storia di Barbara, la fanciulla a cui rubò la vita.
Patrizia Benetti

NIENTE CANZONI D’AMORE
Sdolcinate parole che cantano dell’amore, parlano d’amore, vestono l’amore. Ma l’amore si può rappresentare? Seduta sulla sedia di cucina, davanti ad un caffè fumante, s’interrogava sul significato dell’amore. Troppo spesso, pensava, viene gettato nelle mani di chi crede che con le sole parole si possa esprimere il suo vero Io. L’amore è sensazione, emozione, sentimento. Non necessariamente parole, ma piuttosto melodia, suono, note che si susseguono, note che s’incatenano in un intreccio empatico ed armonico.
Melissa Ci

TUTTO IL GIORNO ALLE CORSE DEI CAVALLI E TUTTA LA NOTTE ALLA MACCHINA DA SCRIVERE
C’è una sorta di magia nel giocarsi il culo al gioco.
Capitemi: è tutto quel che avete. A voi importa, eppure credete non sia abbastanza. C’è di più.
Forse è vero, forse è solo un inganno di una mente malata. Cristo, ci vorrebbe uno psicologo.
Ma scommetto – che ci volete fare: è un vizio – che nessuno di voi si è mai giocato tutto.
Io sì.
Davvero.
L’ultimo euro nei pantaloni.
E quando quello spicciolo orfano rotea in aria, poi atterra, infine esce dal lato della vittoria, cazzo, è pura magia.
Chiedetelo al Giocatore di Dostoevskij. Lui, il culo, se l’è fottuto alla roulette.
Fante al poker.
Bukowsky ai cavalli (lui aveva rispetto per il denaro, però. Sapeva cos’era una panchina nel parco, all’agghiaccio di notte.)
Hemingway, invece, l’azzardo l’ha tentato contro la vita stessa.
Ha perso.
Come tutti, del resto.
O credete che un giocatore, alla fine possa uscire vincente?
Eppure, quella magia è meravigliosa. È l’ “io posso”.
E anche la sconfitta, forse di più: senza soldi resta solo l’uomo.
E le parole, alla macchina da scrivere.
Matteo Pisaneschi

SANTO CIELO, PERCHE’ PORTI LA CRAVATTA?
Test di personalità.
Porto la cravatta perché ….:
a) se decidessi di non portarla più, mi crollerebbe tutto il mondo intorno.
b) mi rilassa. Tutte le mattine, mentre faccio il nodo, non penso a niente.
c) la portava mio padre e le tradizioni sono importanti.
d) sembro più figo e acchiappo di più
e) sono obbligato per il tipo di lavoro che faccio, ma mi ci appenderei ogni mattina.
Profilo a: – Visione egocentrica. Corretta se sei il presidente degli Stati Uniti. Ma non lo sei, rilassati.
Profilo b: – Potenzialità inespresse. Cerca di entrare in contatto con i tuoi sentimenti. Tranquillo, c’è abbastanza amore per tutti.
Profilo c: – Tendenza all’annullamento. Resisti alla tentazione di guadagnarti l’amore degli altri facendo regali o complimenti forzati. Non reprimerti, il mal di schiena sparirà.
Profilo d: – Comportamento difensivo autocelebrante. Accetta di crescere, regala aiuto e attenzione e ne riceverai anche tu.
Profilo e: – Tendenza a moraleggiare. Impara ad ascoltare gli altri e non sopravvalutare il denaro come fonte di potere. Smettila di sognare soltanto, vivi!
Cristina Cornelio

URLA DAL BALCONE
Alzarono Tutti il volume della TV.
La Disperazione altrui infastidisce.
Wilhelmina Vagante

PALP. UNA STORIA DEL XX SECOLO
Le “mani morte” sui bus non passano mai di moda!
Sonia Tortora

SOTTO UN SOLE DI SIGARETTE E CETRIOLI
Cerco la vena ispiratrice accompagnando il mio strano pasto con l’whisky. Ho la bocca impastata. Certo non è un pranzo salutare ma adoro l’incertezza, la casualità, l’improvvisazione.
E’ propria del poeta, è quel misto di genio e sregolatezza che fa la differenza. Il mio povero fegato, e la testa mi fa un male cane, ma anche questo fa parte del gioco. Io sono grande e mi nutro di idee.
Patrizia Benetti

COMPAGNO DI SBRONZE
La tizia entrò sola e le lacrime uscirono dai suoi occhi azzurri cerchiati di rosso. continuai a passare lo straccio sul bancone. rapidamente frugai nel piazzale alla ricerca di qualche bastardo artefice di quel dolore, poi resettai lo sguardo su lei, ora seduta sullo sgabello. le sue unghie curatissime vicine alle mie bianchicce e opache per l’ammollo prolungato sotto il gettito d’acqua di quel maledetto rubinetto che riuscivo a chiudere solo a notte inoltrata. m’attaccai alla bottiglia buona tenuta nel sotto lavello. il principale nel passare s’attardò con la mano aperta sul mio culo. lei mi guardò complice e invitante, sciolsi così il nodo nero del grembiule, afferrai la bottiglia e percorsi la pedana di legno rasentando il bancone dalla parte dei clienti, la presi sottobraccio. il suo passo cadenzato sul mio percorse i vicoli della metropoli. sulle scale di un edificio svuotato dribblavamo lattine e bottiglie vuote che incespicandosi nei piedi finivano per ruzzolare qualche piano dabbasso. sotto una enorme elica ficcata in un vuoto tondo fra mattoni rossi ci finimmo la bottiglia postandoci a vicenda. nominando conoscenti.
Franca Riso

MUSICA PER ORGANI CALDI
Non riusciva. Aveva l’intera melodia in mente. “Vedeva” la musica, i tempi, le pause. Ma la partitura non rendeva. Era forse stanco, la tosse non lo lasciava dormire. Stracciò di nuovo il tutto, alzandosi dal pianoforte. Parigi era gelida, quella mattina. Aveva appuntamento con lei, alle 10. Avrebbero preso il caffè e George gli avrebbe parlato di “Pauline”. Lui amava ascoltarla. Qualcuno batté alla porta, col pesante batacchio. “ho pensato che questo freddo non ti facesse bene, sei appena guarito dalla tua solita bronchite”. Non facevano l’amore da tre settimane. In un attimo si cercarono, spargendo i vestiti sul pavimento. La musica guidava i movimenti, la tosse lo lasciò in pace. Dopo lei s’alzo, aveva voglia di un caffè. Mentre miscelava la polvere, dal pianoforte udì le prime note e si bloccò con l’acqua che gorgogliava. Sentiva la musica scriversi sulla sua pelle e sull’anima, ancora nude.
Roy Roberto

TUTTI GLI ANNI BUTTATI VIA
A 13 anni accesi la mia prima canna. Era una sera d’estate in mezzo alla calda e umida campagna lombarda, io e Corrado coricati nell’erba a ridere e poi via in vespa a tutta velocità, in due, in piedi senza mani. Volevo fuggire, volevo anestetizzare, volevo dimenticare, volevo ridere perché da sobrio non ci riuscivo, era un bel casino.
A 44 anni accesi la mia ultima canna con un po’ di nausea; volevo vivere e dimenticare quel buco lungo 30 anni in cui paradossalmente avevo pure amato, conosciuto, apprezzato, imparato abbandonato e guadagnato, ma anche perso e bruciato il piacere di costruire qualcosa e goderne, sempre circondato da questa barriera, sempre un pochettino distante dalla realtà ma non troppo.
Ora però basta pensare al tempo buttato via, era il momento di vivere. E vissi.
Michele Stefanoni

NON C’È NIENTE DA RIDERE
Aveva studiato lui, era stato obbligato da sua madre, perché lei non voleva che suo figlio avesse difficoltà economiche, né che dovesse dipendere da qualcuno. Prende la scatola. Aveva finito il liceo col massimo dei voti, uno dei migliori studenti dell’istituto, un modello da seguire. Apre la scatola. Era il primo della famiglia ad aver fatto l’università, e l’aveva anche finita. Svuota la scatola. Nessun anno di ritardo, perfettamente nei tempi e ancora una volta col massimo dei voti. Carica lo scaffale. Nonostante lo studio aveva anche portato avanti una vita sociale, aveva amici che contavano, molte conoscenze che potevano fargli comodo nell’immediato futuro. Rompe la scatola. Però adesso, si ritrovava lì, nella corsia di un supermercato a caricare lo scaffale delle passate di pomodoro. Cade una bottiglia, si rompe, sugo ovunque. Lui fissa a terra e inizia a ridere. Arriva il direttore. “Non c’è niente da ridere, quella te la tratteniamo dalla busta paga”.
Andrea Zanchi

QUANDO MI HAI LASCIATO, MI HAI LASCIATO TRE MUTANDE
E un accendino -che poi io neanche fumo- sul davanzale in Via dei Lillà snc.
Bianche, ch’io ricordo non esser pulite, tra cumuli di rancore.
M’avessi lasciato in mutande avrei ben inteso il colpo incassato, ma tre mutande fuori la porta, fuori di vista, fuori da tutto. Tre mutande che, vedendomi, m’han detto “sei fuori, sono stati tagliati tutti i ponti”.
Rita Bernardi

SPEGNI LA LUCE E ASPETTA
Disse: – Quando non urlerò più la mia rabbia capirai. –
Fu silenzio.
Stefania Fiorin

I CAVALLI NON SCOMMETTONO SUGLI UOMINI (E NEANCHE IO)
No, non mi va di andare all’omodromo, vedere quei poveri uomini che corrono sulla pista trainando un calesse. Poi scommettere su di loro, con quei nomi assurdi “Mario Rossi” “Luigi Passavanti”. Pensa come potrei sentirmi io al loro posto; un Tizio qualunque scommettere su “Diablo”. Mai e poi mai. Meglio una passeggiata nei campi.
Patrizia Paesani

FACTOTUM
Che fatica! Faccio tutto io qui.
Ti sveglio al mattino.
Mentre fai colazione, ti porto il giornale.
Ti accompagno a correre nel parco.
Quando vai al lavoro, resto a casa ad aspettarti.
Vivo in attesa del tuo ritorno.
Quando stai per arrivare io lo sento.
Comincio ad agitarmi, non riesco a stare fermo.
Poi ti vedo e sono felice.
Ne è valsa la pena di aspettare.
Ti vengo incontro.
Capisco subito di che umore sei.
Se sei triste, cerco di farti sorridere.
Se sei allegro, giochiamo insieme.
Se sei arrabbiato, ti lascio perdere. Tanto poi sei tu a venirmi a cercare.
Mi racconti la tua giornata. Io non posso risponderti, ma ascolto tutto e partecipo alla conversazione a modo mio.
A cena mi preoccupo della tua salute e ti rubo gli alimenti più grassi e calorici.
Poi, quando ti addormenti, spengo la televisione con abile mossa.
Devo fare tutto io.
In cambio, tu pulisci i miei bisognini, mi riempi la ciotola due volte al giorno e mi fai qualche carezza.
E ti lamenti pure.
Che tipi strani gli uomini!
Lucia Cabella

SO BENISSIMO QUANTO HO PECCATO
Sono un ex alcolista, ex fumatore, ex trombatore, ex giocatore d’ azzardo.
Sono pronto per andare in paradiso , ormai, ma so già che lì mi annoierò a morte.
Quasi quasi riprendo a bere, a fumare, a trombare, a giocare a carte e perdere tutto.
Claudio De Maria

E COSÌ VORRESTI FARE LO SCRITTORE?
Una manciata di caratteri inutili stazionano stantii tra le pagine di una futile poesia.
Non sono serviti a scardinarle il cuore né le cosce.
Parole mosce, come il mio cervello nudo che nuota in birra da discount.
Coraggio, ci vuole coraggio. Strappare quel foglio squallido e liberare i versi.
Senza aspirare a rintanarsi tra scaffali colmi di cuochi da gastrite, dj farinosi o logorroici comici assassini. Rinunciare ad apparire uguali solo per conquistare un piccolo cantuccio di costa.
Esplodere, puri come carta. Bombe lunari in onore di chi esisterà per sempre, lontano dalla spazzatura quotidiana, dai rigurgiti mensili, dalla melena umana che sovrasta la tempesta con valuta pregiata buona per pulirsi il culo tra cent’anni. Meglio la solitudine di un cane dagli occhi azzurri accovacciato sotto una panchina su cui siede il demonio incravattato a festa.
Che nevichino mignotte sulla fantasia impolverata dai fantasmi dei replicanti e dalle loro solite storie.
Lasciamo che il tempo dimentichi ed esalti.
Hektor Arklys Farasi 

CAPITOLO II

CAPITOLO II

SCRIVO POESIE SOLO PER PORTARMI A LETTO LE RAGAZZE
“Ti amo”, aveva detto prima di addormentarsi.
La stessa tigre che mi aveva sbranato, adesso giaceva accanto, pacifica in una giungla di lenzuola sfatte. Litigare. Per cazzate. E poi, a letto.
Niente di nuovo: la strada per il cuore di una donna passava sempre per le mutande. Solo che per arrivare al pizzo dovevi prima staccare il tagliando al cervello. Che era una fottuta trappola.
Bisognava sapersi muovere in tutti quegli impicci.
Avevo capito come fare già da un po': ragione e bugie. La prima per non sentirsi in errore, le altre perché più morbide della verità. Per fortuna quasi sempre si può concederle entrambe in un colpo solo.
Io avevo gioco facile. Ero uno scrittore. Un poeta. Imbrogliare gli altri era il mio mestiere.
Ero davvero un gran bastardo, ma non potavo farci niente.
Eppure l’amavo davvero, nonostante tutto. E Lei, ignara, ricompensava i miei inganni con qualcosa di più sincero di un sorriso compiaciuto.
Mi stesi e la abbracciai. Colpevole e riconoscente, come un gatto randagio dopo aver elemosinato gli avanzi a suon di fusa.
Matteo Pisaneschi

L’UBRIACANE
Cinhuahua
Sonia Tortora

QUANDO ERAVAMO GIOVANI – IL SORRISO TRA PARENTESI
Quando eravamo giovani, la vita ci entusiasmava e ci trascinava impetuosamente. Non avevamo timore di bruciare le tappe, gettavamo con incoscienza i giorni, i mesi e gli anni nel tritacarne della nostra esuberanza e della nostra euforia. Correvamo senza sosta per inseguire quei sogni che, prima o poi, ci avrebbero regalato un sorriso da indossare, appagati, una volta per sempre.
Poi il tempo, lentamente ma inesorabilmente, cambia tutto. I duri colpi della vita ci curvano la schiena. La fitta polvere della realtà incanutisce e inaridisce i nostri capelli. Il vento travolgente ed inarrestabile dei giorni passati scava solchi profondi intorno agli occhi. L’acqua agrodolce delle lacrime versate sfibra e logora la pelle del viso. Le guance, ormai prive di consistenza e vigore, si afflosciano intorno alle labbra, andando, come una triste e impietosa metafora di ciò che è stato, a mettere tra parentesi il nostro malinconico sorriso.
Claudio Sara

CONFESSIONI DI UN CODARDO
Vicino al biliardo tre uomini stavano massacrando un poveretto. Calci, pugni, sputi, mentre la vittima tentava invano di coprirsi il volto fra l’indifferenza dei clienti.
“Ti prego Carlo, corri ad aiutarlo” piagnucolò Licia, stringendo il braccio del fidanzato. “Non vedi che lo stanno ammazzando?”
“Succede a tutti prima o poi. Lascia stare, quel tipo si sta prendendo solo un po’ di vantaggio.”
Carlo tirò un sospiro di sollievo. Strano che la vita gli stesse concedendo una boccata d’aria. Chissà che sarebbe accaduto l’indomani. Sapeva d’avere un conto in sospeso con la sfortuna.
Ida nel frattempo piangeva. Le dita aperte a ventaglio sulla bocca spalancata. Troppo sensibile per questo mondo di belve.
“Vieni, andiamocene di qua” le suggerì Carlo, dopo aver seccato la birra. “Non vorrei che quei matti si stessero solo scaldando.”
“Sei un codardo.”
“Già, brutta storia che siano sempre i migliori ad andarsene.”
“Beh mi sa che tu vivrai in eterno, allora” ribatté lei.
“Cristo, non odiarmi così tanto.”
Uscirono dal locale, accompagnati dal rumore di vetri e ossa rotte.
Il cielo era limpido e stellato.
Distante.
Samuele Fabbrizzi

DONNE
Stesa sul letto, lo sguardo inquieto scivola sui muri e parla.
Quella porta era aperta, non l’aveva vista, era distratta, come sempre.
Sì, ha sbattuto ma non sente dolore. No, lui non c’entra, povero caro. Lacrime, dove???
E poi lontana, per non sentire, per non soffrire più.
Stefania Fiorin

NOTTE IMBECILLE TRA LE GAMBE
Avete mai provato ad aggiungere “tra le gambe” ai titoli dei libri e dei film?
No? Non lo avete mai fatto?
Non è difficile: Pomi d’ottone e manici di scopa tra le gambe, Il deserto dei Tartari tra le gambe, A qualcuno piace caldo tra le gambe, Se questo è un uomo tra le gambe, Cronache marziane tra le gambe, La carica dei 101 tra le gambe, e così via all’infinito…
Voglio fare l’esperimento con i titoli di Bukowski:
L’ubriacone tra le gambe.
Quando eravamo giovani tra le gambe.
Confessioni di un codardo tra le gambe.
Shakespeare non l’ha mai fatto tra le gambe.
Cena a sbafo tra le gambe.
Il crimine paga sempre tra le gambe.
Il primo bicchiere, come sempre, è il migliore tra le gambe.
È passata mezzanotte e mi diverto davvero con poco: è proprio il caso di dire che è “una notte imbecille tra le gambe”!
Luigi Siviero

SHAKESPEARE NON L’HA MAI FATTO…
…un dialogo così.
Romeo: È ora di partire.
Giulietta: No Romeo. Non è ancora sopraggiunta l’alba. Quello che senti non è il canto dell’allodola mattutina, ma il trillo dell’usignolo, che spande le sue melodie solo di notte.
Romeo: Eh no, Bella! Questo è er cellulare mio. Me sta a cerca’ Mercuzio: o’ conosci, vero? Me ne devo anna’ co’ lui sull’apparecchio al carnevale de Rio. Sapessi che gnocche!!!
Ce vedemo quanno torno, Giulie’… Forse…
Rosanna Fontana

CENA A SBAFO
Cenò e si sbafò tutto quello che c’era. S’abbuffò facendosene un baffo di essere chiamato l’abbuffone. Del resto era un buffone che aveva avuto il suo momento di gloria facendo la comparsa ne “La grande abbuffata”. Buffo essere così magro con tutto ciò che ingurgitava. Si faceva beffe di chi stava a dieta, si imboscava in tutti posti in cui si mangiava.. perchè mangiare è bello e a sbafo lo è ancora di più.
Maluna Viola

IL CRIMINE PAGA SEMPRE?
Tutte le mattine lo vedevo uscire dal palazzo di fronte al mio.
Spavaldo come sempre.
La vista di quell’uomo mi faceva venire i brividi e nel contempo una rabbia irrefrenabile. Nella mia mente, già da tempo si susseguivano progetti di vendetta.
Solo immaginazione…fino alla mattina nella quale mi si presentò un’occasione perfetta che non potevo lasciarmi scappare.
Lui supino sull’asfalto, probabilmente in seguito a una caduta. Io alla guida della mia vecchia auto.
Accelerai, gli andai addosso, per un paio di volte feci avanti e indietro sul suo corpo. Scesi dall’auto e iniziai a gridare simulando di averlo investito distrattamente.
Piansi… di gioia!
Finalmente avevo ucciso l’assassino di mia sorella. L’uomo non venne mai condannato per mancanza di prove, e neanch’io pagai.
La giustizia giudicò quell’incidente una sfortunata coincidenza; anche la mia coscienza mi giustificò.
Giusy Caligiuri

IL PRIMO BICCHIERE, COME SEMPRE, E’ IL MIGLIORE
Un piccolo quadernetto a farmi compagnia in serate inutili, una biro nera, un bar lontano miglia da casa.
-Scusi ha per caso un bicchiere di luna?- domandai una volta entrato.
-Non abbiamo la luna ma abbiamo un buon vino rosso, le va un bicchiere? – rispose sorridente il barista.
-Mi accontenterò. – risposi prendendo il bicchiere e mi accomodai.
La biro prese vita fra le mie mani..
Era una notte di luna, vuota,
le sentivo le stelle attorcigliarsi dal dolore.
M’accorgevo che l’età era nascosta fra gli specchi dell’anima.
Luna, che sei lì, che sembri lontana,
sei più vicina di quanto t’immagini.
Scende la pioggia ,adesso, come faccio a leggere fra le tue righe
e ad innamorarmi di te;
Ascoltami ti prego non lasciarmi fra gli anfratti del mio io,
legami a te come il primo bicchiere che sorseggerò
e sarà il migliore di tutti i bicchieri del mondo.
Scavami dentro, nell’anima ,sentimi gioire della musica che giunge al mio cuore.
Lascia che impronti l’eternità su di te,
scendi o luna dal cielo,
aiutami a sognare milioni di milioni di volte in più.
Vincenzo Attolico

TACCUINO DI UN VECCHIO PORCO
– Ho un taccuino di vitello.
– Io di un vecchio porco!
Marcello Perugia

SEDUTO SUL BORDO DEL LETTO MI FINISCO UNA BIRRA NEL BUIO
“Cavolo, domani ne farò 48″.
Nessuna voglia di festeggiare. Uno spreco di vita. Non avevo nulla. ?Avevo messo al mondo dei figli. Cani sciolti.
La mia ex? Mi odiava ancora. Amici? Sì, uno.
Così telefonai.
Prenotai la stanza più bella dell’albergo, poi chiamai lui.
Gli chiesi di raggiungermi, con qualche birra. “Dillo anche a un nostro amico, a piacere. Fagli fare lo stesso, senza rompere la catena”.
Giuseppe arrivò alle nove. Stappammo una birra, mi raccontò della sua mancata carriera: colpa dei sindacati.
Alle dieci ecco Filippo. Aveva litigato con la moglie, come ogni sera. Si stavano separando. Prese una birra.?Dopo mezz’ora arrivò Luigi. Aveva una figlia con una malattia che non le dava scampo. Non festeggiava nulla da tempo. Bere con noi gli fece bene.
Stravaccati sul letto stavamo comodi. Chi sdraiato, chi seduto, a mezzanotte eravamo in sette. Una birra e un problema ciascuno, pronti a brindare.
La birra scioglie il cuore. Auguri.
Ne assaporai il malto e l’alcool, poi mi guardai attorno.
Con gli amici, seduto sul bordo di un letto, finivo quella birra.
Ero felice.
Francesco Marcone

LE RAGAZZE CHE SEGUIVAMO
Avevamo quindici anni, l’età col vento in poppa per amare e spaccare il mondo. Inseguivamo il sogno dell’amore.
Abitavamo al mare. Le ragazze che seguivamo erano le turiste. Belle, abbronzate, provenienti da chissà dove.
Per attaccar bottone, ogni scusa era buona. Imperdibile la fiera del paese: un puzzle di facce e bancarelle.
Staccatomi dagli amici, mi avvicinai al girello dello zucchero filato, l’ordinai, pagai.
L’ambulante, erroneamente, lo consegnò a una ragazzina.
– Quant’è?
– Ha pagato il tuo amico.
– Grazie. Mi chiamo Gloria. – disse, porgendomi un pezzetto di zucchero filato.
– Prego. Piacere, Federico. Hai un desiderio? – le domandai a bruciapelo.
– Vorrei incontrare il Principe Azzurro.
– Stasera il vestito azzurro era sporco. Così, in camicia e jeans, eccomi qui!
Gloria scoppiò a ridere.
Il cuore mi tamburellò così forte che pensai esplodessero i bottoni della camicia.
La baciai.
Mi sentii grande, assaporando il sapore delle nostre labbra vanigliate. Scoprii che la lingua poteva giocare con un’altra lingua, accarezzandola. Una tempesta emozionale, indubbio ormonale.
Persi Gloria nei meandri della vita, che concede e toglie.
Conservo quel dolcissimo bacio, allo zucchero filato, tatuato nel cuore.
Marina Paolucci

CE L’HANNO TUTTI CON ME
Dicono che chi nasce rotondo non muoia quadrato. Poi c’è chi nasce triangolare, quelli sono sempre una spina nel fianco. Anzi, una spina nel culo. Ti impegni a fare ciò che devi fare senza ottenere nessun meritato riconoscimento. Frustrazione. Oltre a non ottenere riconoscimenti vieni pure preso per il culo. Frustrazione. Vedi gente meno meritevole ottenere più di ciò che meritano, e tu lì senza neanche una pacca sulla spalla. Frustrazione. Sembra quasi che le persone si mettano d’accordo per farti arrivare al limite, vicino all’esplosione, e poi si diverta a guardarti mentre consumi. Sembra quasi una gara a chi ti faccia esplodere per primo. Sembra quasi che mi abbiano dipinto un bersaglio sulla schiena. Frustrazione. Poi ti chiedono cosa c’è che non va, come mai sei cupo, perché non parli. Io non ho niente che non va, siete voi quelli che non andate. Frustrazione.
Andrea Zanchi

L’AMORE È UN CANE CHE VIENE DALL’INFERNO
Sembrava un giorno diverso.
Intorno a me, un viavai continuo di gente… volti nuovi.
Ero un po’ spaventato perché sapevo che oggi sarebbe toccato a me!
Ma uscire da quella stanza mi preoccupava: tanti se ne erano andati prima, e non erano più tornati…
Ma quelle persone sembravano buone! La ragazza dai capelli biondi che mi abbracciava e non smetteva di accarezzarmi, non aveva l’odore forte di disinfettante del signore col camice bianco che mi aveva fatto tutte quelle punture!
A un certo punto, un urlo: “Portate fuori l’ultimo, il numero 2.700!”.
Mi misero in una gabbietta e percorsi il lungo corridoio che mi separava dalla luce abbagliante del sole…
Oltre il cancello, un uomo, una donna e un bambino. Lei si avvicinò, alla gabbietta, la aprì e, prendendomi in braccio esclamò: “Ciao Amore! Ora vieni con noi!”.
Mi girai e guardai per l’ultima volta quella scritta sulla targa del cancello: “Green Hill”. Addio! Ora vado a casa!
Olga Pervenuti

UNA NOTTE NIENTE MALE
In quel Bacio agognato ho visto i nostri Figli danzare.
Wilhelmina Vagante

QUELLO CHE IMPORTA È GRATTARMI SOTTO LE ASCELLE
Lo ammiravamo perché aveva delle priorità nella vita.
Maurizio D. Capuano

IL SOLE BACIA I BELLI
Il bel tempo era arrivato. Tutti correvano verso il parco dove il prato aveva vestito i panni di un grande tappeto di margherite. Distesi come lucertole in un giorno di luglio, tutti guardavano il cielo a pancia in su. Io? Guardavo il tempo seduta sotto un grande albero dove i rami lasciavano intravedere piccoli scorci di luce, delicate fessure intrecciate, che venivano penetrate da un sole caldo e luminoso. Il sole bacia i belli? No, troppo facile mettersi in un luogo privo di ombre ed ombrelloni. Il sole gioca a nascondino, conta fino a dieci, corre a cercare tutti quelli che rifuggono da esso, poco importa se belli e brutti, l’importante è che non si lasciano acchiappare con troppa facilità.
Melissa Ci

SVASTICA
– Zu jung zum Sterben…
Troppo giovane per morire…
La frase, che allora non compresi, mi sarebbe rimasta impressa nella mente per il resto della vita, come l’immagine della svastica sulla manica del soldato.
Non era un ufficiale, perché sulla fascia rossa con la croce uncinata non c’erano strisce bianche, ma non per questo incuteva meno terrore.
SS: il nome rievocava le atrocità commesse a Sant’Anna dalla Panzergrenadier Division Reichführer, ai danni dei civili inermi.
Gli uomini erano scappati sulle montagne; io, bambino di dieci anni, le mie due sorelline, la mamma e la nonna c’eravamo nascosti in cantina.
Quando il soldato irruppe, spalancando la porta a calci, le donne si accucciarono in un angolo, strette in un abbraccio. Io rimasi dritto in piedi, a fissarlo come ipnotizzato. L’uomo ci studiò con una rapida occhiata, poi si portò l’indice al naso, facendomi segno di tacere, e sussurrò quella frase.
Girò sui tacchi e sparì. Sentimmo il rumore dei mezzi militari che si allontanavano. Non seppi più nulla di quel soldato, ma ogni sera recito una preghiera per la sua anima.
Anna Rita Foschini

A SUD DI NESSUN NORD
Il treno arrivò puntualissimo alla stazione di Varenna. Scesi velocemente per non perdere la coincidenza con il pullman. Fui la prima a salire. Presi posto sul sedile davanti e mentre la corriera arrampicava lenta, dietro a ogni tornante, lo spettacolo era tale da lasciarmi ancora una volta a bocca aperta. Le porte si aprirono, ero arrivata in paese. Mi sistemai sulle spalle il pesante zaino e iniziai la camminata per la Porta di Prada. Intorno un paesaggio mozzafiato, montagne, prati, fiori, alberi e laggiù in fondo un angolo del Lago di Lecco. Ed è proprio qui che papà scelse di essere liberato. Un luogo che lascia senza respiro chiunque attraversi questi sentieri. Felice di aver esaudito il suo desiderio, rimasi raccolta nei miei pensieri, nei nostri pensieri per un tempo interminabile. Lui voleva essere libero di volteggiare a sud di nessun nord, con il vento e tra le nuvole, in questo posto magico come in un sogno.
Daniela Rossi

PANINO AL PROSCIUTTO
Io e Sergio ci amiamo. Sono dieci anni che ci amiamo.
Quanto sta accadendo non cambia le cose.
Matteo è più giovane di me e lo è ancor più di mio marito.
Sono mesi che si diverte a risvegliare in me quelle sensazioni che ormai credevo sopite da troppo tempo. Sergio non ne era più capace non perché non mi amasse, ma solo perché l’amore dopo dieci anni cambia. Cambia la passione. Cambiano i nostri corpi. Maturano i desideri.
Guardo il nostro riflesso in quello specchio. Matteo sa di buono ed è di fronte, attaccato al mio corpo nudo, e il calore della sua bocca sa rivelarmi cose che non sentivo da troppo. Sergio è dietro… sento il suo fiato affannarsi con nuova passione sulla mia intimità.
Il mio corpo nudo e rosa trionfa tra loro.
Assaporo il momento, soddisfando la mia insaziabile golosità.
Eleonora Desiderio

BIRRA FAGIOLI, CRACKERS E SIGARETTE
Sono di nuovo single. Anche Marco mi ha lasciata. Sola, in questa casa che ora sembra così grande. “Basta, non ne posso più! Mi sembra di vivere con mio fratello, non con una fidanzata! Non sai nemmeno cucinare!”. E se ne era andato con una bionda. Cuoca. “Perché lei è più donna, solo con lei mi sento uomo!”. Uomo, quanto poco gli si addiceva quella parola. Non voglio più pensarci, preferisco godermi la vita in tutta la mia graziosa femminilità. Mi siedo sul divano davanti al derby in sacrosanta pace con tutto ciò che mi serve per essere felice. Un pacco di crackers come sfizio, una scatola di fagioli per l’intestino pigro, una birra per alleggerire la vita e qualche sigaretta per accorciarla. Semistesa sul divano, con i piedi sul tavolino di vetro lasciando briciole ovunque, festeggio ogni goal con un sonoro rutto.
Cinzia Colantoni

LE POESIE DELL’ULTIMA NOTTE DELLA TERRA
Quando il chirurgo allargò le braccia e scosse la testa, la sala bianca, che aveva pulsato per ore al ritmo dei suoi “Mio Dio, Mio Dio…” rimase immobile. Il mondo intero si fermò. Era la fine.
Allora tutto quel bianco le precipitò dentro e cominciò a roteare. Oh! Era la gonna del suo abito da sposa, mentre piroettava felice pensando che per sempre avrebbe vissuto col suo Marco.
Aprì gli occhi. Il medico continuava a ripetere: “Abbiamo fatto tutto il possibile”. Il suo sguardo lo trapassava, vedeva proiettata sul muro bianco la breve collana delle giornate trascorse con Marco.
Le sembrava che una dopo l’altra salissero verso il cielo. Luminose come stelle, lievi come poesie.
Consuelo Lanzara

STORIE DI ORDINARIA FOLLIA
Nei letti, sporchi e abbandonati. Loro erano lasciati al lento susseguirsi del tempo, aspettavano la morte. Sani, erano sani, era la loro mente che faceva bizze, ma si sa i manicomi erano chiusi da anni. Le case di cura private, a volte diventavano lager, gli assistenti e gli infermieri, persi nelle loro misere vite, erano i loro carnefici.
Le lenzuola sporche di escrementi ed urina, le divise che bianche non erano più. C’era odore di morte. C’era la pazzia che voleva liberarsi. Voleva uscire, per essere meno violenta di loro. Loro, a dispetto dei loro carnefici erano sani, liberi e puliti. Loro, la follia era ordinaria per tutti gli altri.
Anna Dixie

NIENTE CANZONI D’AMORE
La strada si restringeva come un budello tra i palazzi grigi intarsiati di scritte e murales. Sull’asfalto bagnato di pioggia scricchiolavano i passi regolari di un uomo. Il vento sollevava mulinelli di cartacce , l’uomo alzandosi il bavero del cappotto nero, si fermò. Il palazzo era quello giusto, il numero civico corrispondeva. Aprì il portone socchiuso, lo scricchiolio dei cardini arrugginiti lo accompagnò all’interno dove lo investì il forte tanfo di piscio di gatto. La casa era al primo piano, guardò la targhetta e bussò. Dall’altra parte della porta, Anselmo mimava un lento immaginando di avere tra le braccia la sua Maria, mentre le note della loro canzone si spargevano per l’aria. Quando sentì il suono del campanello sobbalzò abbassò il volume della radio e aprì.
– Sono venuto a prenderti.
– Non sono ancora pronto
– Dobbiamo andare
– Aspetta almeno la fine della canzone
– Niente canzoni d’amore, lo sai che poi è più difficile andare via
– Ho ancora tante cose da fare
– Non c’è più il tempo
Anselmo capì, chiuse le persiane, lo seguì.
Claudia Cuomo

TUTTO IL GIORNO ALLE CORSE DEI CAVALLI E TUTTA LA NOTTE ALLA MACCHINA DA SCRIVERE
La conoscerò.
Una notte come tante, dopo una partita a poker, con il portafoglio gonfio e qualche bicchiere di whisky in corpo, mi fermerò a bere l’ultimo drink in un bar qualsiasi.
Al bancone ci sarà lei, la rossa delle mie fantasie, la rossa di “Nighthawks” di Edward Hopper. Profumerà di eleganza e di solitudine. Poggerò sul bancone il mio borsalino e mi volterò verso di lei. Incontrerò i suoi invitanti occhi neri e la sua maglietta, così attillata da mettere in risalto due irriverenti capezzoli, che mi verrà voglia di assaggiare.
Ciotti suonerà “along the river”. Io le offrirò un cognac, una chesterfield ed il mio nome.
Comincerà così la nostra notte; una notte colma di confidenze, silenzi, carezze, baci, intimità.
All’alba ci saluteremo. Non ci rivedremo, ma, ne sono certo, ci incontreremo spesso in qualcuno di quei rari e meravigliosi momenti che riusciremo a dedicare a noi stessi.
La terrò per me quella notte, perché sarà una notte esclusivamente da vivere, non da raccontare.
Marcello Mora

SANTO CIELO, PERCHÉ PORTI LA CRAVATTA?
Volevo vestirmi come il babbo, sono due anni che non c’è più e le sue cravatte sono ancora tutte nell’armadio.
Quando lo apro e le vedo lì, allineate che sembrano soldatini sull’attenti in attesa dell’ora d’aria, non resisto. Ne porto in giro qualcuna, qualche volta, e sento che lui ritorna un po’.
Mi piace tanto quella rossa con le strisce oblique marron.
Mariella Giunta

URLA DAL BALCONE
Ignazio vide i manifesti mortuari all’ingresso dello stabile. Alfio, quello del terzo piano, il becchino. Pensò che le urla, quelle delle tre del mattino a cadenza settimanale, finalmente sarebbero finite. Alfio aveva un incubo ricorrente: si svegliava supino, le dita intorpidite. Nessuna luce. Allora muoveva le mani, le portava in viso: perfettamente rasato. Una mano urtava qualcosa a una spanna dalla sua testa. Sembrava legno. Non capiva… Poi, sensazione di morbido. Portava le mani alle narici: profumo. Fiori…Le guance gli restituivano la sensazione del cuscino. Alfio allora capiva: morte apparente e veniva invaso dal terrore, squarciando la notte. Ignazio entrò in casa. Prese silenziatore e pistola, di cui aveva regolare porto d’armi e salì al terzo piano. Salutò parenti, vicini. La vedova gli fece un cenno, la seguì. In cucina gli consegnò una busta. Aspettavano solo il medico, poi sarebbe toccato a lui. Alfio aveva lasciato disposizioni: accertata la morte, incaricava Ignazio di esplodergli un colpo in testa. Tanto non è reato, uccidere un morto
Roy Roberto

STORIA DEL XX SECOLO
Morto il padre, Giovanni si diplomò grazie ai sacrifici di sua madre. Poi finì anche lei, ma il dolore più grande fu rinunciare al suo sogno. Figlio unico, rimase solo al mondo. Dorina, la fornaia, sola amica di sua madre, gli offrì un lavoro. L’avrebbe aiutata di notte e dormito di giorno. Perlomeno il ragazzo avrebbe tirato su qualcosa per campare. Egli impastava e infornava il pane. Quando l’odore fragrante avvertiva che era cotto, Giovanni si preparava a consegnarlo. Poi una volta a casa, sognava. Disegnava con le parole la fantasia scrivendo storie. Una raccontava di un cieco rimasto per tutti bambino, che ,invece adulto, sognava l’amore. Diceva che il destino, giocando coi sensi , glielo aveva fatto incontrare. Il giorno rapiva i racconti e Giovanni al risveglio pensava di aver solo sognato. Un mattino giunse una lettera e con essa un assegno. Il giornale locale gli pagava i racconti ricevuti e pubblicati. Chi li aveva inviati per lui?! In fondo non era importante. Giovanni scopriva che gli angeli non abitano solo le stelle.
Marina Lorena Costanza

SOTTO UN SOLE DI SIGARETTE E CETRIOLI
Ma quanti cazzo di libri ha scritto ‘sto Bukowski? Tra un whisky e un cognac.
Terza settimana, stavolta comincio dal basso.
Che razza di titolo, che ci scrivo? Chiedo aiuto a Chicomexochtli, dio azteco degli artisti. Nulla.
Cerco ispirazione tra le cipolline e i peperoni in agrodolce. Bastardi. I cetrioli si nascondono sempre. Poi eccoli lì. Verdi come le montagne verdi, sott’aceto come cetrioli sott’aceto. Ma l’ispirazione non arriva. Sbatto la porta del frigo. Sento rumore di uova infrante, ma, preso dall’estro artistico, tralascio il particolare.
Proviamo con le sigarette. Non fumo più da quattordici anni, ma per Fogazzaro si può fare un’eccezione. Il pacchetto verde appare nel cassetto dove ha dormito placido per anni e anni.
Fumare una vecchia sigaretta quasi maggiorenne è una delle esperienze più nauseanti della vita.
Mal di testa ma niente testo.
Penso che passerò a un altro titolo.
Lodovico Ferrari

MUSICA PER ORGANI CALDI
Se raccontare la bellezza significa svilirla io non parlo ma ti amo.
Patrizia Benetti

(EX) COMPAGNO DI SBRONZE(?)
(Mi manchi.)
E con questa sono settecentoquarantatre ore con il gomito basso, il mignolo non teso e il sangue che non è più alcol.
Sono quasi 31 giorni: lo sgabello vuoto, il solito sul tuo conto, la birra per due che ormai prendo per abitudine… non ci si abitua mai.
E ho ormai il tuo riflesso fisso nel fondo del bicchiere lavato di Rum e la cenere del mozzicone che disegna i tuoi tratti.
Siamo nostalgici.
Anche la puttana odorosa all’angolo lo è, ma non è a te che va il suo pensiero. Pure il drogato, mentre tira dentro la dose del giorno.
Io levo il calice in alto, in silenzio, e da lontano lo sento tintinnare col tuo. Che sia a brindare anche tu non lo so, tentar non nuoce.
Come ritornare a casa dribblando gli alberi, quando doppio non è solo la metà del prossimo, ma soprattutto l’immagine impressa.
E poi lodare Dio, con l’adrenalina in vena, per aver ritrovato il tocco freddo delle labbra contro la tazza del cesso… vivi.
V.
Rita Bernardi

TUTTI GLI ANNI BUTTATI VIA
I ricordi giocano confondendosi avanti e indietro nel tempo.
Vengono spesso a galla, sono tanti, coloratissimi.
Li considero al presente, così da non avere rimpianti.
Sto pattinando, abbracciando mia madre, dipingendo con mio nonno.
Scherzando con le amiche e piangendo per un lutto.
Adesso sto amando e partorendo i miei figli.
Penso di non aver buttato un solo istante della mia vita,
neanche i momenti passati ad annoiarmi.
Lucia Amorosi

NON C’È NIENTE DA RIDERE
Quando mi hai lasciato, mi hai lasciato tre mutande…..sporche!
Giovanna Polini

QUANDO MI HAI LASCIATO, MI HAI LASCIATO TRE MUTANDE
Senza Simo è dura. Una vita da solo e poi t’incontro sta gran culona. Postina precaria, all’ennesima raccomandata da firmare ci siamo scopati sul divano, lei veloce a togliersi jeans e mutandine, io a infilarglielo dentro e a venire. Una sveltina trasformatasi in convivenza. Lei stanca di stare dalla sorella, io trascinato dal suo decisionismo e intrappolato fra cosce, natiche, tette, labbra e tutto il resto con cui mi arrapava. Comunque alla terza scopata si era portata lo spazzolino da denti, una borsata di abiti ed era uscita il mattino seguente dicendo:
“Ci vediamo quando ho finito”
Mai stato meglio. Non un granché come donna di casa, cucinare e pulire la infastidivano, ma nessuna rottura di balle, le bastava leggere e scopare. Fino a che, dopo una notte di sesso da capogiro, la vedo uscire al mattino col borsone in mano:
“Vado da un amico al mare, magari trovo lavoro per la stagione.”
Gli stronzi delle poste non le avevano rinnovato il contratto.
Mi ha lasciato lo spazzolino e alcune mutandine sporche, quelle che sto odorando ora, mentre mi masturbo.
Graziano Gattone

SPEGNI LA LUCE E ASPETTA
Avevi un cardine aperto
nei legami di cuore
in cui penetrò
una giovane vecchiaia.
Non bastò una porta
a farsi meta
ad additare
un nuovo ambiente
un vano prospiciente
inondato di luce
e suoni.
Richiudi l’uscio
ritorna al buio
discretamente.
E aspetta.
Mauro Barbetti

I CAVALLI NON SCOMMETTONO SUGLI UOMINI (E NEANCHE IO)
“Scommetti che ora mi sposta e tu mi mangi?”
“No”.
“E pensare che potrei mangiare quel bel pedone succulento…scommetti che lui non riesce a vederlo?”.
“No”.
“Perché rispondi sempre no? Pensi che non succederà?”
“Sugli uomini non conviene mai scommettere. Lasciamoli a loro questi giochetti stupidi”.
“Hai ragione. Comunque ecco, hai visto? Mi ha spostato qui, così tu ora mi puoi far fuori tranquillamente”.
“Eh già. Comunque anche il mio è stupido, se ti può consolare. Prima si è fatto mangiare un alfiere e non ha visto che la regina era in pericolo”.
“Il bello è che si credono intelligenti”.
“Credono tante cose. Per esempio, secondo loro io e te siamo nemici. Solo perché io sono bianco e tu nero”.
“L’hanno deciso loro”.
“E ora hanno anche deciso che ti devo mangiare. Mi dispiace fratello”.
“Non ti preoccupare. Alla prossima partita”.
Lucia Cabella

FACTOTUM
Ti rimbocco le coperte e chiudo gli scuri alle finestre.
Per strada passa un motorino, poi s’odono un vociare, una musica ritmata, una portiera che sbatte. La vita di notte, anche, dopo la vita di giorno .
La nostra, di vita di giorno, è un po’ così, lenta e dimessa
Sono un po’ zelante, lo so, e questo ti innervosisce. Cerco di non farti mancare ciò che è impossibile che non ti manchi, di placare uno smarrimento feroce, e più mi affanno, più mi pare tutto inutile.
Mi offro per bisogno. Non lo faccio per te, capisci? Sono io che devo cercare di chiudere questa porta spalancata sul buio
Da quando sei diventato cieco , per quello stupido stupido incidente, per quella mia fottuta distrazione, vorrei essere i tuoi occhi. Non t’ho mai amato più di così.
Chiuderti gli scuri alle finestre è solo un’ abitudine, naturalmente, l’ostinato aggrapparsi alla normalità.
Mariella Giunta

SO BENISSIMO QUANTO HO PECCATO
Se dovessi confessarmi
Superba ,no non lo sono
Avara e neanche invidiosa
Irosa, neanche, ho imparato a contare fino a dieci.
Forse un po’ indolente, ma non verso chi ha bisogno.
Ho un buon rapporto con il piacere sessuale,
sano sesso con lo stesso uomo da dieci anni.
So benissimo quanto ho peccato
La gola, non resisto quando c’è una tavola bandita.
Vado in cucina e apro il frigorifero.
Patrizia Paesani

E COSI’ VORRESTI FARE LO SCRITTORE?
Una volta l’ho pure registrato
il rumore dei tasti
continuo e ovattato.
Quello forsennato dato da pensieri
che ti si affollano
snobbando fila o sentieri.
Quando con serpenti nei capelli
sbuffi e sudi dietro periodi?mutevoli e ribelli.
Voglio scrivere per diletto, per passione
voglio fare lo scrittore?farlo prima che mi mettano in pensione.
Franca Riso

CAPITOLO I

CAPITOLO I

SCRIVO POESIE SOLO PER PORTARMI A LETTO LE RAGAZZE
Ero con Erika. Dopo fatto sesso riposavamo nudi sul letto. Mi dava la schiena. Feci scorrere lo sguardo su quel suo culo da favola, sodo e generoso, che si allargava mostrandosi nel suo splendore dopo la vita sottile. Sembrava una modella in posa, pronta per essere ritratta da un maestro. Ammaliato da tanta bellezza allungai un braccio per afferrare la birra sul comodino. Prima di arrivarci le mie dita incontrarono un oggettino cilindrico che non riconobbi. Lo portai davanti gli occhi, era il pennarello rosso che usavo per correggere. Mi venne così, improvvisa, la voglia di far scivolare la punta in feltro su quella pelle morbida. Era come se lo chiedesse lei stessa. Tolsi il cappuccio stringendolo tra i denti. Sporgendomi scrissi un verso d’amore sulla scapola e uno di sesso sulla natica. Quello sulla natica era più lungo. Su quel culo avrei scritto un romanzo. Si tenne quei versi tutto il giorno, mostrandole orgogliosa alle amiche. Pessima mossa. Non passò molto che anche loro vollero i miei componimenti. Iniziai a portarmi a letto le donne per scrivere poesie.
Penna Rossa

L’UBRIACONE
Si trascinava nella bettola più vicina, e ce n’era sempre una ”più vicina” ovunque lui si trovasse, aperta ad ogni ora del giorno e della notte. Ordinava da bere e continuava a mandar giù whisky fino a stordirsi. Iniziava a raccontare le sue storie ad un barista annoiato, sempre le stesse, ma ogni volta ai suoi ricordi dava nomi e finali diversi. La voce andava abbassandosi, le parole incespicavano e compivano torsioni sempre più improbabili per mantenersi in equilibrio su frasi biascicate e precarie, rese scivolose dall’alcol. E quando arrivava la sbronza, e crollava, era la penna ad infilarglisi tra le dita raccogliendo, sul block-notes aperto accanto al bicchiere vuoto, quel che lui aveva sparso disordinatamente tra tutte le sue vite.
Romano Presta

QUANDO ERAVAMO GIOVANI
Non avevamo bisogno di starcene davanti a un cantiere a dare consigli.
Maurizio D. Capuano

CONFESSIONE DI UNA CODARDA
Sentiva di aver fatto la cosa sbagliata,
l’intera notte non aveva dormito.
Non aveva voluto vederla morire,
Non le era stata vicina nel momento
in cui forse i suoi occhi la cercavano,
ci avrebbe letto troppo dolore e
avrebbe capito.
Sonia Veronesi

DONNE
Le sopraciglia ben disegnate, il contorno labbra perfetto, donne! E non si bastano! Gli anni riflettono nei loro specchi, raccontano il passato intorno agli occhi, ricami di vita vissuta dal colore di campagna o dal grigiore della città. Si guardano cercando la risposta alla fatidica domanda, che importanza ha chi sia la più bella? Tra i palmi delle mani il profumo di biscotti dei neonati, che suono quelle ciglia che si abbassano dopo la poppata, la Primavera di Vivaldi! Imprecano in silenzio la mattina nel traffico contro chissà chi per i minuti di ritardo prima dell’ufficio, quelli persi a passare il rossetto tre volte nello specchietto retrovisore! Ah, donne! Al risveglio hanno la pelle che profuma di sonno, la spallina della camicia da notte abbassata, i capelli arruffati, le labbra schiuse e sono sensuali da impazzire. Hanno la notte di sesso impigliata tra le ciglia. Le donne in amore non hanno età. Le donne che amano, sanno ubriacare! Basta un bicchiere di cielo. Il primo bicchiere, come sempre, è il migliore!
Sharon Lake

NOTTE IMBECILLE
Giorno arguto
Giovanna Polini

SHAKESPEARE NON L’HA MAI FATTO
Scrivere poesie per portarsi a letto le ragazze.
Wilhelmina Vagante

CENA A SBAFO
Eccolo, davanti al suo banchetto. Stasera in solitudine, non ci sono altri commensali. Non importa. Quello che importa è essere lì, finalmente. Il profumo del cibo gli riempie le narici. Con la mente inizia ad assaporare quello che mangerà, è questa, senza dubbio, la parte migliore. Un sorriso soddisfatto si dipinge sul suo volto. L’impiattamento non è dei migliori. Ma il pesce sembra fresco. Un filo d’olio ad aromatizzarlo con delicatezza. Niente posate. Ma, tenendo conto della moda gastronomica del momento, sushi&bacchette, non è stupito e, dopotutto, ormai è abituato. Porta alla bocca il primo boccone. Si scioglie in bocca. L’olio è extravergine d’oliva. Favoloso. Manca forse una punta di sale. Ma nel complesso è soddisfatto. Peccato che la porzione fosse esigua, è giá finito.
Alza lo sguardo. I suoi occhi scorrono avidi per la piazza. Deve assolutamente trovare un altro bidone che contenga qualche succulento avanzo. Magari caldo. La notte è fredda, soprattutto su la si trascorre su una panchina. Si stringe nel cappotto rattoppato e comincia a cercare, di nuovo.
Chiara Rigamonti

IL CRIMINE PAGA SEMPRE?
Lui era molto più bravo di me, lo era sempre stato, con i suoi occhi pieni di affetto, la sua generosità e il suo esserci sempre nei momenti di bisogno. Questo era il mio grande amico Giuseppe, conoscitore di persone, filantropo, almeno un migliaio di volte più bravo di me in tutto. Io non ero nemmeno mai riuscito ad avvicinarmi al suo livello anche perché non serviva: c’era lui. Quando solo pensavo di avere uno slancio di generosità verso qualcuno, lui pigliava il testimone al volo senza essere interpellato; e tutti a ripagarlo con sguardi pieni di ammirazione! Però avevo imparato bene, lo avevo osservato per una vita, conoscevo tutti i meccanismi usati durante le sue note opere di filantropia. Sinceramente non fu difficile svuotargli addosso tutto il caricatore di una 38 (con matricola abrasa ovviamente) in una calda sera di Agosto. Al funerale guardavo dietro gli occhiali scuri i visi smarriti delle persone e dentro di me sapevo che in breve tempo avrei preso il suo posto nei loro cuori. L’allievo che supera il maestro. Addio Giuseppe.
Michele Stefanoni

IL PRIMO BICCHIERE, COME SEMPRE, È IL MIGLIORE
Eccolo, sobrio, funzionale, resistente e bello… No, guarda quello! E quelli verdi? O meglio quelli a calice, magari quelli un po’ naif o quelli in colori pastello.
Non vanno in lavastoviglie e sono troppo delicati e poi…..
E poi sei a ridosso delle casse dell’Ikea e, come sempre, il primo bicchiere era il migliore.
Marcello Perugia

TACCUINO DI UN VECCHIO PORCO
Questa proprio non me l’aspettavo. Un premio ” Fogazzaro” che quest’anno prende come spunto
Bukowski e i suoi titoli cosi “scurrili” per menti salaci, grasse. A me il realismo sporco non è mai andato giù. Con questa scusa tanti hanno approfittato per affogare nella scurrilità e per scadere in una poesia più concisa, senza quasi avverbi e un minimo di aggettivi. Scherzo, l’avete capito no?
Però è divertente pensare che questo “Taccuino” Leopardi l’avrebbe chiamato “Epistolario”.
Per non dire che Pavese al posto di “Vecchio Porco” avrebbe citato ” Il mestiere di Vivere”.
Passando per Pascoli che irretito da un realismo scarno di aggettivi avrebbe circondato la suggestione delle parole da un silenzio pacatamente musicale. Caro il mio Fogazzaro ora senti cosa vado a pensare. Non credo forse io che “Il Taccuino di un vecchio porco” in quel di Como ed in quel Piccolo Mondo Antico fosse già stato letto dai personaggi della Malombra e poi sepolto nei segreti del lago?
Paolo Amato

SEDUTA SUL BORDO DEL LETTO MI FINISCO UNA BIRRA NEL BUIO
L’ho saputo oggi… sbam!!! Lei ha un tumore… che colpo, che botta… non sai neanche come reagire. Ti viene da piangere, vorresti spaccare tutto, sei arrabbiata con il mondo.
Non dico niente a nessuno, in questi casi non si sa cosa rispondere e le risposte sono solo di circostanza e non mi servono. Ho bisogno di un abbraccio, ho bisogno di amore…
Devo fare un sacco di cose, non c’è più tempo o forse si… sento che il mio corpo mi ha tradito o punito, non so.
Seduta sul bordo del letto mi finisco una birra nel buio, mentre le lacrime scendono calde e inesorabili sul mio viso mi chiedo perché? Perché proprio io?
Daniela Zampolli

LE RAGAZZE CHE SEGUIVAMO
Hank e io sorseggiavamo due bionde, riparati sotto la tettoia della stazione deserta. La pioggia picchiava sull’asfalto, sfracellandosi in pozze fangose, mentre la luna dormiva accoccolata dietro i nuvoloni rigonfi, lasciando lo sporco lavoro ai lampioni.
Parlavamo di letteratura, boxe e donne, svuotando cuore e cervello, oltreché bottiglie.
Poi, due ragazze ci sfilarono davanti come modelle. Gonne cortissime, tacchi e sguardi ipnotici. Assurdo che ammiccassero a porci come noi. Lui aveva un debole per le gambe, io per i piedi.
Hank seccò la birra e cominciò a inseguirle. Io feci lo stesso.
Di tanto in tanto le due si giravano verso di noi e sorridevano, senza mai fermarsi.
Arrivammo in un vicolo cieco. Alte mura di mattoni, neon spenti, case vuote.
Una trappola?
Dalle labbra delle ragazze fuoriuscivano canini affilatissimi, i loro occhi rossi come lanterne cinesi. Vampire. Non avevano voglia di noi, ma fame. E noi due eravamo l’unico fast -food disponibile.
Sorrisero.
Sentii le gambe vacillare e l’aria mancarmi.
Mi voltai verso Hank, ma lui era tranquillo.
Anzi, fiero e compiaciuto.
“Non aver paura dell’immortalità, Sam” mi disse.
Samuele Fabbrizzi

CE L’ÁNNO TUTTI CON ME
I professori d’italiano.
Michele Lopopolo

L’AMORE E’ UN GATTO VENUTO DALL’INFERNO
Nero. Più della notte, più dell’inferno da cui è scampato. La piena si è portata via la stalla dove era nato, la mamma e i fratellini. Solo lui è rimasto, così piccolo che squittiva come un topo sotto al cumulo di immondizia dove lo abbiamo ritrovato.
Biberon cinque volte al giorno, poi omogeneizzato e paté per gatti neonati.
E il rigonfiamento del copriletto che svelava il suo rifugio segreto, la poltrona piena di ciuffi neri che neanche l’aspirapolvere, il davanzale su cui saliva a dormire al sole. Dieci anni felici.
Ma quando chi ha vissuto con te per tanto tempo, passando le notti a fare le fusa, a tenerti al caldo in modo affettuoso e discreto, ti lascia all’improvviso?
Trovi il suo corpicino già rigido sotto l’alloro, ti senti male ogni volta che guardi il letto, mai stato così in ordine, e pensi di poter sopportare che ti dicano: “Era solo un gatto”?
L’inferno che lo ha risparmiato ora è piombato su di te.
Laura Montagna

UNA NOTTE NIENTE MALE
Il cielo, a un certo, punto, finiva.
E non nell’orizzonte, o nel bacio della terra. Nemmeno nel mare sotto, giacché blu come la notte, e da lassù immenso, le stelle riflesse, pareva anch’esso cielo.
Thomas la vide, la fine, non con gli occhi ma con un’idea: il cielo finiva dove non potevi più volare. E Il suo spitfire, le ali ferite dagli stuka nazisti, si faceva fenice e perdeva la lotta contro la gravità. ??
Che idea sciocca, pensava ora, era il volo: lanciare oggetti di metallo in aria e sperare che galleggino sulle nuvole, come barche fra le onde. Sciocco forse quanto il cercare di riprendere quota, forzando verso sé la cloche, una leva con perno sul nulla. Quasi come sollevarsi tirandosi per i piedi. Impossibile. ??
Così, lasciò i comandi, sereno: aveva fatto il suo dovere, vissuto una buona vita. E il cielo ora finiva. ?
Finiva, ma solo nel suo cuore. Perché sotto di lui, il mare si faceva cielo, un altro, diverso, nel riflesso sull’acqua. ?
E vedendolo pensò, sì, quella era proprio una notte niente male in cui annegare.
Matteo Pisaneschi

QUELLO CHE IMPORTA È GRATTARMI SOTTO LE ASCELLE
Io sono ciò che scrivo. E scrivo in down. È un duro lavoro, mi costringe a ciucche e strisce di coca: mi mandano in up per poi scendere nella più profonda delle malinconie, nella paura, nello sconforto, nell’indecisione, nella paranoia. Allora scrivo e sono diverso da quando sto in compagnia o faccio quello che altri chiamano vita. L’up è una rottura di coglioni e non mi piace: esagero e combino disastri. Invece nel down ho dentro una terra desolata, un’inquietudine alla Pessoa, uno spleen che tutto riluce. Certo, dopo scritto resto per ore a fissare la bianca parete dietro al computer o mi seppellisco sotto le coperte, gli occhi chiusi, in posizione fetale. Certo, down dopo down, se mi specchio negli occhi di chi mi guarda faccio veramente schifo. Ma non me ne frega un cazzo, leggetemi, io sono le parole, il resto è pura invenzione.
Graziano Gattone

IL SOLE BACIA I BELLI
Oggi è una splendida giornata di sole, Maurizio è in vacanza e scenderà sulla spiaggia, dove resterà sdraiato per ore ad abbronzare il suo corpo, pensando che la notte incontrerà la donna della sua vita.
Al tramonto rientrerà in albergo, cenerà leggero – perché Maurizio tiene alla linea – e poi uscirà. Rimarrà seduto tutta la sera al tavolino di un bar del lungomare e, sorseggiando un drink analcolico, osserverà le donne che passeggiano, sperando di incrociare lo sguardo di una di loro. Come sempre nessuna lo noterà e lui tornerà in camera, leggermente deluso e disorientato. Si collegherà a internet e consulterà le previsioni del tempo.
Si addormenterà felice, perché domani sarà una splendida giornata di sole, Maurizio è in vacanza e scenderà sulla spiaggia, dove resterà sdraiato per ore ad abbronzare il suo corpo, illudendosi di incontrare, la notte, la donna della sua vita.
Marcello Mora

SVASTICA
Dopo aver passato la notte, una notte niente male, seduto sul bordo del letto mi finisco la birra e mi reco al post office con il mio taccuino, fatto con la pelle di un vecchio porco. Chiedo dove posso ordinare un caneamore, mi rispondono “viene dall’inferno, a sud di nessun nord” , il posto non mi interessa, a me quello che importa è potermi grattare sotto le ascelle mentre il sole bacia i belli che, per invidia, ce l’hanno tutti con me. Volete sapere perché? Invidia, perché le ragazze mi seguivano nonostante la mia svastica tatuata in fronte e a loro ero simpatico.
Ora vado, l’Ade mi aspetta.
Floriana Plebani

A SUD DI NESSUN NORD
Ninetta entrò dall’ingresso sud del centro commerciale assieme alla mamma alle ore quattordici e ventotto di giovedì grasso dell’anno di grazia duemilaquattordici.
Ninetta si perse tra le ore quindici e tredici e le ore quindici e diciotto. Perdersi è un’attività graduale: non c’è quell’istante preciso in cui si passa dalla consapevolezza di sapere dove ci si trova alla consapevolezza di essere soli, abbandonati e disarmati. L’angoscia monta poco per volta. Inizia sottotraccia e si avvinghia alla corteccia cerebrale fino a stritolarla.
“Stritolarla” in senso metaforico, perché anche lo stritolare ha più sfumature, come capì presto Ninetta.
Quando ci si perde il panico prende il sopravvento e si rischia di comportarsi in modo avventato. Per esempio Ninetta era così spaventata che si fidò ciecamente di un signore sconosciuto e paffuto dall’aria pacioccona. Uscirono dall’ingresso nord del centro commerciale per cercare la mamma.
Ninetta non rivide mai più la mamma. Il signore pacioccone la violentò e la stritolò. Fu ritrovata morta in un fosso.
Luigi Siviero

PANINO AL PROSCIUTTO
-Venticinque.
-Eccomi. Due etti di autostima per cortesia.
-Mi è rimasta solo la punta. Se la prende tutta, gliela faccio a duemila euro al chilo.
-Non mi piace tanto il colore. Che dice, è buona lo stesso?
-In confidenza, signora, buona buona non è. Meglio se passa di mattina che ne inizio una nuova.
-E chi può? Lavoro tutto il giorno. E stasera ne avevo proprio voglia, mi sento molto giù.
-Problemi?
-Il capo mi tratta malissimo, ieri mi sono messa a piangere davanti a tutto l’ufficio.
-Signora mia, se viene lunedì sera, gliene conservo due etti di quella appena iniziata. La spalmi nel pane caldo e si sentirà come nuova in ufficio.
-Lei è tanto gentile.
-Per una bella signora come lei è il minimo. Anzi, se viene in orario di chiusura, le faccio assaggiare anche una fettina di fascino erotico.
-E’ un prodotto nuovo?
-Nuovissimo, lo mangi nel pane caldo e nessuna donna in ufficio le terrà testa.
-Anche quella smorfiosa della segretaria?
-Si fidi di me. Avranno occhi solo per lei.
-Se è vero, saprò come ringraziarla.
Guido Anselmi

BIRRA FAGIOLI, CRACKERS E SIGARETTE
La macchina gialla, distributrice di “gratta e vinci” del supermercato, mi appare come un forziere pieno di monete d’oro. Fisso con attenzione i disegni che appaiono sotto la vernice d’argento. Bastano tre simboli uguali e la mia sorte finalmente cambierà. Getto il primo cartoncino nel piccolo bidone pieno di cartacce ai piedi del tavolo ingombro di trucioli brillanti. Un altro, solo un altro. La banconota entra nella fessura della macchina come attratta da una forza magnetica. Afferro con mani tremanti il biglietto e passo, lentamente, la moneta sui circoletti colorati. Il secondo cartoncino raggiunge il primo.
Appoggio sul rullo della cassa la spesa per la settimana. Poca roba, ma non rinuncio a bere .
Controllo il display. quattro euro e trenta. Mi restano i soldi per le sigarette.
Prendo dal portafoglio l’ultima banconota da dieci che mi è restata.
Bella.
Rossa.
Ricca.
Fortunata.
La cassiera sbuffa. Che grande idea ho avuto! Fingere di aver dimenticato il portafoglio.
E adesso a noi, macchina gialla!
Lodovico Ferrari

LE POESIE DELL’ULTIMA NOTTE DELLA TERRA
Le longitudini e le latitudini si fusero, abbracciandosi.
I quattro punti cardinali si dissolsero.
Una pioggia battente di lacrime scese sulle terre del pianeta.
Gli oceani e i mari la bevvero.
Una preghiera si elevò al cielo.
In una sola lingua.
Con una sola voce.
L’amore.
Maria Rosaria Spirito

STORIE DI ORDINARIA FOLLIA
Per imparare l’arte di amare, chiedo umilmente altre vite.
L’anima sopravvive alla morte; ma riuscirà essa, mia anima, a concludere il lavoro incompiuto della vecchia vita?
Esiste un Dio che permette l’incompleto? Che crea esseri con tanta cura, senza concedergli nulla fino in fondo, senza dargli infinite possibilità di completezza?
Un Dio stanco, assuefatto.
Dovremmo temere la fine del mondo, allora, darci da fare.
Se, invece, Dio non esistesse? Le anime sarebbero autonome.
Paura.
Io, anima sperduta sarei.
Come pecorella, torno al gregge.
E DIO ESISTE.
Andrò in chiesa, darò il mio contributo alla ior ,
mi inginocchierò davanti alle statue.
Racconterò i peccati al Don, anche se a lui piace di più sentire il tintinnio dei soldi.
E per il vescovo, ucciderò l’agnello migliore.
Farò il tifo per il papa, che da oggi anch’io chiamerò santo padre, pure se santo ancora non è.
A ottant’anni mi farò suora. Sono belle grassocce loro, vivono bene.
A quell’età mi basteranno una stanza con bagno, un giardino e tanti libri; se riuscissi ad avere un pc sarebbe il massimo.
Ringraziando Dio.
Vittoria Alices

NIENTE CANZONI D’AMORE
Un biglietto da visita di un buontempone recava questa scritta sul retro:
sono un tipo silenzioso
se vuoi venire a letto con me
tieniti il biglietto
se no restituiscimelo
perché sono a corto di biglietti
Claudio De Maria

TUTTO IL GIORNO ALLE CORSE DEI CAVALLI E TUTTA LA NOTTE ALLA MACCHINA DA SCRIVERE
Di giorno scommetto sui cavalli. E’ una passione, ce l’ho nel sangue. Quanti soldi ci ho perso.
E la notte mi attacco alla bottiglia e al computer.
Scrivo e la rabbia si scioglie.
L’energia diventa vita che pulsa nelle parole accese. Scrivo e la malinconia si scioglie.
Diventa calore, passione, ricordo.
E in questo febbrile lavoro trovo pace e ristoro.
Delle parole mi nutro. Con le parole gioco.
Cerco ritmo, armonia. Inseguo melodie.
Patrizia Benetti

SANTO CIELO, PERCHE’ PORTI LA CRAVATTA?
Mark guardò il cielo. Era il lunedì che precedeva la Pasqua.
Sedeva alla sua scrivania di laminato bianco per l’insistenza dei genitori che lo vollero laureato e dirigente.
Mark guardava il cielo e cercava ispirazione, parole per il suo libro. Aveva un PC davanti e nella testa un sogno: diventare scrittore.
Ogni giorno sbrigava il lavoro rapidamente, poi si dedicava al romanzo. Quel giorno in cielo vide una nuvola che sembrava un faccione, con la bocca, sembrava parlasse.
Mark aveva un responsabile che quel giorno lo fece chiamare. “Vogliono promuoverti” disse “Vogliono trasferirti a Portland, nella sede principale. Cosa vuoi fare?”
Mark lo fissò e rispose “Lo scrittore”. Fuori la finestra vide il faccione che sembrò dirgli “Bravo”.
Il responsabile scosse la testa “Hai studiato, lavorato sodo. Ancora questa maledetta fissazione?” gli domandò.
“Sì, ho deciso” rispose Mark.
“Santo cielo, scrittore, perché porti la cravatta?” sbraitò l’altro.
Mark lo scrutò, poi rispose “Perché se la rovesci, diventa un cappio dove resterei appeso. Voglio essere libero e non portarla più”.
Andò via, guardò il cielo. Il faccione gli regalò un sorriso.
Francesco Marcone

URLA DAL BALCONE URLA DAL BALCONE
Urliamo tutti. Affacciati ai balconi, dalle portiere aperte delle macchine. Intanto che ci inzuppiamo di acqua alle fontane. Fa caldissimo anche se è notte. E il calore che abbiamo dentro si può abbassare solo in un modo: urlando.
In tanti fanno la voce grossa intonando cori brevi e cadenzati, in tanti strombazzano incuranti dell’ora. Le macchine sono tutte ferme in coda, ma nessuno si lamenta, almeno a me sembra così.
Non ho quasi più voce a forza di urlare a squarciagola. Sto attaccata a mio fratello che è fasciato nella bandiera tricolore. Ho voluto scendere a tutti i costi con lui, sono una ragazzetta di tredici anni e non mi piace nemmeno il calcio, ma il sapore della vittoria ha invaso l’aria estiva e i miei non hanno saputo dirmi di no. Con noi c’è pure un suo compagno di scuola, Carlo, che mi piace da morire. L’eccitazione è diventata incontenibile, ci abbracciamo tutti, mi fanno volare in alto e poi casco tra le loro braccia.
Siamo nella mitica estate del 1982, siamo nella Storia. Siamo i Campioni del mondo.
Cristina Cornelio

PULP. UNA STORIA DEL XX SECOLO
Vorrei non averlo fatto. Il coltello è ancora lì sulla tavola, sporco.
Ho appena sgozzato quel porco con un colpo secco. Un taglio netto alla gola. Dovró disinfettare tutto con l’aiuto di Adrian, bisogna che non resti alcuna traccia altrimenti mia moglie si insospettirá.
Non mi sono fermato un attimo: con foga, che non m’appartiene, ho spezzettato le gambe poi la testa, le budella per ultimo. Ormai, povero me, ho sangue dappertutto. Una doccia non mi laverà i peccati ma almeno profumerò di nuovo.
Non credevo di riuscirci ma era un lavoro sporco e qualcuno doveva pur farlo.
Domani potrò spostare il porco al mattatoio e potrò godermi il mio meritato panino al prosciutto.
Vincenzo Attolico

SOTTO UN SOLE DI SIGARETTE E CETRIOLI SOTTO UN SOLE DI SIGARETTE E CETRIOLI
Sì, è proprio la mia Sandy che si sposa.
Ora ti dico come l’ho conosciuta, nell’estate del ’30.
Zero lavoro, se non qualche facchinaggio qua e là. Era la grande depressione e mi ero adeguato: vita on the road, pancia vuota e testa nelle nuvole.
Camminando sotto un sole cocente, fumavo le mie ultime sigarette, quando la incontrai: sola, disperata, magrissima. Nessuno voleva vedere l’ennesima bambina abbandonata lungo la strada.
Io non so perché mi fermai. Mi sedetti per terra vicino a lei. “Che fame” e tirai fuori dal fagotto tutto ciò che avevo: un barattolo di cetrioli. Li dividemmo, mentre io continuavo a fumare e lei si puliva il moccio sulle braccine scarne.
Era la grande depressione, ma da quel giorno cominciai a fare progetti. Ho sofferto ogni pena, ogni fatica, ma ce l’ho fatta.
Adesso non fumo più, ma guarda là il tavolo degli antipasti: pieno di cetrioli. E vedi la mia ragazza, la sposa più bella del mondo? Prima di darne uno a suo marito, mi ha fatto l’occhiolino.
Consuelo Lanzara

MUSICA PER ORGANI CALDI
Cuore, cervello
Questi due organi devi usare per scrivere la musica
Il cervello per avere l’idea giusta
Il cuore per renderla unica.
Patrizia Paesani

A.A.A. COMPAGNO DI SBRONZE CERCASI
Giovane diplomato disoccupato con esperienza quinquennale di sbronze da week end cerca compagno di bevute. Si garantisce ottima tenuta e sbronza allegra e ridanciana. Requisiti richiesti: portafoglio e budget adeguati per l’acquisto di liquori di qualità accettabile.
Marina Luzi

TUTTI GLI ANNI BUTTATI VIA
Il gallo Cedrone aveva tre sorelle: Chichì, Cocò e Indovinaunpò. Chichì voleva studiare, non le importava dell’amore. Divenne un famoso avvocato e girò il mondo su un Mercedes truccato. Cocò partì per l’Australia con una valigia di cartone, si sposò uno struzzo conosciuto nei campi di cotone. Indovinaunpò non sapeva che fare, girava per l’aia, tutto il giorno a cazzeggiare. Aspettava che qualcuno le dicesse qualcosa, aspettava che dalla cacca crescesse una rosa. A Cedrone dispiaceva per quella sorella, era sempre indecisa e anche se era la più bella, buttava via i suoi anni rincorrendo una chimera, guardava l’orizzonte e aspettava la sera. Passarono gli anni e Chichì tornò, non sembrava felice e si impiccò. Lo struzzo cognato lasciò la sorella, Cocò disperata affogò nella nutella. Ai funerali c’era tutto il paese, anche pollo Martino, che non aveva pretese. Anche lui aspettava la sera, nel buio dell’aia pensava a chi era. Si guardarono negli occhi durante la funzione e Indovinaunpò ebbe allora un’intuizione: Chichì e Cocò non eran morte invano. Martino adesso l’aspetta sul divano.
Giovanna Baccillieri

NON C’È NIENTE DA RIDERE
Berlino, 1939. Dora aveva realizzato il suo sogno da bambina, era diventata una maestra d’asilo. La primavera pareva sorriderle: il suo ragazzo, Frank, avrebbe presto terminato il servizio militare e si sarebbero sposati. Ma le nuvole che si addensarono in quella stagione, nel cuore dell’Europa, non erano di passaggio. Un cancro si era sviluppato sotto la pelle della società, da lì a poco avrebbe guardato negli occhi tutti, senza distinzione. Dora accudiva i suoi bambini con tanto amore, aveva un sorriso per tutti. Desiderava averne uno, due, tanti, insieme a Frank. Un’ombra però le si posava accanto quando incontrava nei corridoi la sua direttrice, Sarah: “Non c’è niente da ridere – diceva Sarah – corrono tempi brutti!”. In quei corridoi, una lettera infranse i sogni di Dora. Frank non sarebbe più ritornato. Il mondo intero aveva imboccato una strada di non ritorno. Ma solo chi smette di sognare muore veramente. E Dora lo sapeva. In classe spesso raccontava la favola più bella, quella che lei non potette vivere ma che continuava a farla sorridere e proteggere i suoi bimbi dalla Storia.
Francesco Scalamogna

QUANDO MI HAI LASCIATO, MI HAI LASCIATO TRE MUTANDE
“Ti sposerei anche se fossi povera in canna”. Così mi avevi detto.
Ma non lo sono.
Stamattina, quando mi sono svegliata, tu non c’eri.
Non c’erano nemmeno i miei gioielli. I miei abiti Valentino. I miei libri antichi. Il mio Van Gogh autentico. Il mio libretto d’assegni. La mia carta di credito.
C’erano solo tre mutande. Me le avevi regalate tu. Anonime, bianche, di nylon. Roba da poveracci. Dovevo capirlo allora che non eri adatto a me. Probabilmente le avevi comprate al mercato. Non te lo perdonerò mai.
Lucia Cabella

SPEGNI LA LUCE E ASPETTA
Sciolgo il nodo dei pensieri
Spogliandomi di tutte le incertezze
E nuda varco il limite
Tu rivestimi di fantasie indecenti
Tra l’anima e la pelle.
Manuela Verdi

I CAVALLI NON SCOMMETTONI SUGLI UOMINI (E NEANCHE IO)
Guarda quello: il ciccione con la polo a righe e il berrettino messo al contrario. Secondo te ce la farà a mandare la pallina in buca?
– Uhm… se sceglie la mazza giusta, e studia bene la direzione del vento, ha qualche chance. Però sbuffa come un mantice ed è madido di sudore. È completamente fuori forma, dovrebbe perdere una ventina di chili. Speriamo che non gli venga mai l’idea di cambiare sport e passare dal golf all’equitazione. Sai che dolori vederselo arrivare al maneggio? Io marco visita, oppure faccio lo sciopero del cavallo selvaggio!
– E dai, scemo! Mi fai morire dai nitriti! No, seriamente, scommettiamo dieci carrube che riesce a centrare la buca?
– Dieci carrube… mi sembra troppo. Tu che ne dici, Fulmine?
– Dico che siete due stupidi! La dovreste smettere di fare i puledri e diventare cavalli seri. Pensate a mangiare la vostra biada, che tra poco ci tocca andare a lavorare. E finitela, una buona volta, di scommettere sugli umani. E’ solo tempo perso… nessun uomo vale dieci carrube!
Anna Rita Foschini

FACTOTUM
Andrea cambiava lavoro ogni giorno. Attaccava quadri, faceva il cat sitter, l’imbianchino, potava siepi e roseti, svuotava cantine e solai, altro ancora.
Era un factotum in affitto, prenotabile in web, pagato in anticipo.
Un giorno fu contattato per attaccare uno specchio.
Quando arrivò si sorprese nel trovarsi a casa di un ragazzo non vedente.
A cosa gli serviva uno specchio?
Eseguì il lavoro ma restituì i soldi, non li voleva.
Lo specchio l’aveva appeso col cuore, non con viti e tasselli.
Il ragazzo brontolò, insistette per pagarlo.
Andrea fu irremovibile. Tuttavia voleva capire, avere una spiegazione. La chiese prima di andarsene.
– Scusa, posso chiederti a cosa ti serve uno specchio?
– Tutti quanti hanno uno specchio in casa. Anch’io desidero averlo. Per arredo, e per riflettere le belle anime di passaggio, perché possa ricaricarsi di beltà. Inconsapevolmente, l’hai inaugurato tu.
Andrea si sentì pizzicato da una punta di malinconia per lo sfortunato ragazzo.
– Che sciocco, non ci ho pensato! – rispose indossando un sonoro sorriso, che ingoiò lacrime mute e invisibili al cieco, sul suo volto di sconosciuto factotum.
Marina Paolucci

SO BENISSIMO QUANTO HO PECCATO
La chiesa è deserta se si esclude una donnina inginocchiata d’avanti alla statua della madonna. Mi accosto quasi furtivo al confessionale con una lucina accesa, in fondo alla navata. Da tanto volevo confessarmi, ma non avevo il coraggio di farlo. La consapevolezza di essere un peccatore non bastava a farmi superare l’ennesimo peccato d’orgoglio di confessare le mie colpe. Mi inginocchio, raccolgo tutto il mio coraggio e dico tutto d’un fiato: -Padre, so che ho peccato, ho tradito mia moglie, ho mandato all’aria il mio matrimonio e deluso i miei figli ecc. ecc.- Ne ho per un bel po’ e quando smetto aspetto quelle parole di rimprovero e quelle di benevolenza che mi permetterebbero di trovare conforto, ma niente! Aspetto qualche minuto e poi ribadisco:- Padre, mi dica qualcosa, so che ho tanto peccato, ma sono pentito!- Ancora niente, allora scosto la tendina viola del confessionale quel tanto che basta per vedere il vecchio Don Franco che con la testa appoggiata allo sportellino si concede un extra di sonno. Vado via…..strano a dirsi, mi sento lo stesso risollevato!
Annamaria Vernuccio

E COSÌ VORRESTI FARE LO SCRITTORE?
Vorrei fare lo scrittore di un solo lettore.
Quel lettore che possa leggere mille poesie e mille racconti.
Sei tu, nei miei pensieri e nel mio cuore.
Unico lettore che mi interessa.
Fabrizio Megna

POST OFFICE – Chinaski per un giorno

POST OFFICE – Chinaski per un giorno

28 aprile 2014
Miei cari “autori fogazzariani”,
anche quest’anno il “Premio” come è iniziato, così é finito.
Con titoli a cascata, a refresh settimanale, e il “Post office” jolly, da scribacchiare.
Mica male! Quanto avete creato!
Bravi Voi! Buon per noi!
Ce n’è da leggerne di tutti i colori, sapori e dissapori.
Prima che mi scappiate, sto organizzando il seratone.
Al solito posto, a Tremezzo, su quella sponda del Lago di Como, in una sera di mezza estate. Tra amici.
Da soli o in compagnia, mi raccomando, non mancate!
L’invito è per autori e accompagnatori.
Presenzieranno giurati onorati, l’organizzazione, una jazz band che ce le suonerà a meraviglia.
Sarà una serata memorabile. Vi aspetto!
Mentre la giuria avrà da lavorare, preparerò i premi da aggiudicare.
Sarà un bel match letterario proferire la sentenza finale!
Domattina andrò all’ufficio postale a spedire questo invito, che sia formale. Perché parto con così largo anticipo?
Considerati i tempi postali…
A voi, che mi rivitalizzate ogni anno rendendomi immortale…
… grazie! A presto!
Vostro affezionatissimo,
Antonio Fogazzaro
Marina Paolucci

Ho buttato via gli anni della vita collezionando fallimenti, e mi ritrovo a confessare i peccati ai compagni di sbronze. L’alcool è musica che riscalda gli organi, ma assopisce il cervello, così, visto che non mi assumono nemmeno come factotum, ho deciso di riprovarci con la rapina all’ufficio postale. Stavolta ho aspettato che finisse la fila e, rimasto solo con l’impiegata, ho esclamato:
– Ehi, bimba, dammi gli “euri”, che devo scommettere sui cavalli!
Mi ha squadrato dalla testa ai piedi ed è scoppiata a ridere:
– Cosa vuoi scommettere! Sarebbe più probabile che i cavalli scommettessero su te, bischero! I soldi sono nella cassaforte, chiusa e temporizzata. Non potrei darteli nemmeno se volessi. Spegni la luce e aspettami fuori – ha concluso, mentre stavo per dirle che non c’era proprio nulla da ridere.
Perplesso, ho ubbidito per vedere dove volesse andare a parare. Siamo andati a casa sua. Dopo l’amplesso, ha acceso una sigaretta e mi ha chiesto a bruciapelo:
– E così, vuoi fare lo scrittore?
Questa è più matta di me… e non porta nemmeno le mutande!
Anna Rita Foschini

Vivo tra l’ufficio postale in cui lavoro e il piccolo appartamento buio, l’unico che posso permettermi con il mio stipendio. La mia famiglia è la gente del paese e vivo le mie emozioni attraverso di loro. Mi intristisco per Maria che fa la fame per mandare un po’ di soldi al figlio tossicodipendente, per Giovanni che ha perso la moglie. Mi rallegro per Carlo che ha vinto mille euro col gratta evinci che gli ho venduto. Conosco anche i loro piccoli segreti, le lettere che arrivano in fermoposta a Gianna perché non le veda il marito, conti correnti che si riempiono e si svuotano, storie di migranti che spediscono pochi soldi a casa. Oggi sarà una giornata dolorosa, è arrivato un telegramma per i signori Rossi. Posso immaginare cosa dice, il loro figlio soldato non tornerà dalla missione. Per fortuna non sarò io a consegnarlo. Arriva Gina, mi detta un telegramma. E’ innamorata e orgogliosa del suo ragazzo che ha finalmente trovato un lavoro. E’ un piccolo ufficio ma è tutto il mio mondo. Non mi sento mai sola.
Maluna Viola

- C’è niente per me?- Stessa domanda come tutti i giorni. Era ormai un mese che mi recavo all’Ufficio Postale a chiedere se c’era posta per me. All’inizio Bianca, l’impiegata, rispondeva di no normalmente, anzi direi anche gentilmente, ma ultimamente avevo notato che non distoglieva nemmeno lo sguardo dalle sue carte. – Chi se ne frega, brutta stronza! Sei ben pagata per questo!- Sfogavo il mio disappunto per il mancato arrivo della posta contro di lei, neanche fosse sua la colpa. Stamattina recandomi come al solito alla Posta, ho visto un capannello di gente fuori del portoncino e …-Avete sentito? Bianca è morta. Dicono sia stato un incidente!-
Annamaria Vernuccio

L’UBRIACONE in fila, all’ennesimo numero, urlò: “Ambo!”.
Vista l’insistenza nel reclamare il Premio, alcune DONNE presenti fecero una colletta.
Il Vincitore si aggiudicò una CENA A SBAFO.
Durante il pasto l’Uomo credette di non esser solo; urlò: “Ah! QUANDO ERAVAMO GIOVANI! Ricordate IL PRIMO BICCHIERE DI VINO? COME SEMPRE E’ IL MIGLIORE!”
Gli avventori del ristorante tesero l’orecchio sicuri che avrebbero ascoltato delle sconcertanti CONFESSIONI DI UN CODARDO.
Le Speranze divennero presto vane perché l’Uomo si limitò a profferire frasi disconnesse.
Quel “pagliaccio improvvisato” parlò di una NOTTE IMBECILLE trascorsa a bere e fumare; rivolgendosi, poi, a una Signorina avvenente disse: ” Lo sai che SCRIVO POESIE PER PORTARMI A LETTO LE RAGAZZE?”
Per sua enorme sfortuna la Signorina si accompagnava a un baldo Giovanotto.
La cena gentilmente offerta prese una bruttissima piega.
L’energumeno afferrò l’ubriaco per la gola; Quello non fece cenno di difendersi ed, anzi, disse sorridendo: “SHAKESPEARE NON L’AVREBBE MAI FATTO!”
Il Tizio, alla battuta, si imbestialì; stritolò il poveretto.
Liquidarono il caso parlando di “legittima difesa”.
L’assassino impunito fece salvo il suo Onore.
IL CRIMINE PAGA SEMPRE.
Wilhelmina Vagante

Disegnavo la linea di un orizzonte lontano già a sedici anni.
-Cosa vuoi fare da grande?- mi chiese la maestra in un giorno di settembre.
-Il postino!- risposi io.
La classe rise.
-Ragazzi sapete perché vi ho posto questa semplice domanda?- Riprese a parlare.
-I sogni, anche quelli che ci appaiono strani, non vanno denigrati. L’importanza di un sogno nella vita la capirete un domani. Ognuno di noi ne ha uno custodito fra anima e cuore.-
-Maestra ma è così stupido il mio sogno?- domandai.
-Assolutamente no! Devi ritenerti fortunato. Tu hai qualcosa per cui vale la pena lottare.-
Sono passati ormai tanti anni da quel discorso ancora impresso e nitido nella mia mente.
Oggi ho consegnato una lettera ad una giovane neo mamma ed il pacchetto aveva un unico mittente:
“Contingente Italiano, Iraq”
La donna è la moglie di un soldato in missione ed io col mio umile lavoro le ho portato le parole dell’uomo che lei ama fra fogli di carta ed un po’ di sudore misto ad un pizzico di soddisfazione.
Grazie maestra!
Vincenzo Attolico

Un martedì mattina di una settimana qualunque. La voce di mia figlia nel corridoio. -Bisogna spedire urgentemente questa raccomandata!- L’annuncio ufficiale fatto in forma impersonale era in realtà un esplicito invito rivolto in maniera democratica a me.- C’è qualche volontario?- rispondo in tono ironico -Ok mi offro io!- Prendo un ora di permesso al lavoro e mi avvio. Alle 7.45 sono fuori all’ufficio postale. I miei occhi stentano a credere, una folla oceanica riversata sul marciapiede, affolla l’ingresso. Mi rivolgo perplessa a un tipo che staziona lì davanti: -Ma è successo qualcosa?- -No, perché- -Che è tutta sta folla a quest’ora?- -Sono le pensioni, Signò- -Si ma io dovrei fare solo una raccomandata- ?- Non importa, per entrare dovete fare la fila, come tutti- – Da quanto tempo state qua?- – Dalle sette, a dir la verità stamattina ho fatto tardi!-?-Mamma mia!- Guardando la mia faccia perplessa il signore aggiunge?- Facciamo questo tutti i mesi, estate e inverno, passiamo la vecchiaia a fare la fila per avere i soldi nostri!- In attesa di giorni migliori rinuncio.
Claudia Cuomo

A volte le emozioni aggrovigliano i pensieri. Viaggiano nel tempo dal domani fino a ieri. Se non trovano nessuno ritornano al mittente, e rimangono rinchiuse nei meandri della mente. Quando meno te lo aspetti ecco fanno capolino, non importa se è giorno, se è notte o se è mattino, arrivano dirette senza neanche il francobollo, sembra sanno dove andare, ti si attaccano al midollo. Ti sconvolgon l’esistenza come neanche un telegramma che ti annuncia una notizia che sia buona o che sia un dramma. A volte le emozioni risalgono la china, così senza avvertire, come quella cartolina. Ricordo di un passato che speravi il tuo domani, riposta nell’armadio sotto tutti quei ripiani. A volte le emozioni chiuse con la ceralacca diventano macigni, tornan come la risacca. Lasciale arrivare ma non esser prigioniero, sii aperto al tuo futuro e accetta il suo mistero.
Giovanna Baccillieri

Brividi nel ritrovare il suo vecchio ed ingiallito quaderno di poesie.
Lo sfogliò con mani tremanti, si sedette e si accinse a rileggerlo.
Caddero in terra una rosa appassita e una cartolina postale, di quelle gialle che si usavano una volta.
Le raccolse con delicatezza, fissò la rosa assorta… cosa doveva ricordarle?
Sulla cartolina una penna con mano tremante aveva impresso
“Alla mia amata, per il poco tempo passato ad adorarla” non era firmata.
Il timbro postale era illeggibile.
Di chi era? “Chi mi ha amato ed adorato per poco tempo?”
Una lacrima sfuggì al suo controllo… “Maledetta memoria!”
Il tempo le aveva rubato anche il ricordo di quella passione.
Lucia Amorosi

Lavoro in un ufficio postale di un piccolo paese della bassa padana. Sarà il clima, umido e nebbioso d’inverno e afoso d’estate ma qui sono tutti molto insofferenti e litigiosi. Oggi è giorno di pensioni. Li immagino già i miei vecchietti precipitarsi ,appena apro, pronti a scannarsi su chi è arrivato prima. Stamattina però arrivo prestissimo e mi organizzo. Trascino fuori dall’ufficio un tavolino, sedie, una vecchia panchina. Tiro fuori mazzi di carte, riviste, giornali di enigmistica . Ecco che arrivano quasi correndo. Blocco i primi (2 a pari merito vince chi alza la carta più alta del mazzo), li invito a sedersi nell’attesa. Inizia subito una partita a scopone, la siura Lina tira fuori l’uncinetto dispensando consigli alle altre. Che calma!! Non ci posso credere, Biagio, il più litigioso, ha ceduto il posto per non perdere il turno a carte! A metà mattina arriva Bice con la caffettiera, subito Ada risponde con una torta. C’è clima di festa, sono tutti contenti. E’ una bella giornata di primavera.
Maluna Viola

Eveline aveva ormai preso quell’abitudine.
Come nei bar e poi nei panifici, a lei si dovevano le “Lettere in sospeso”.
Nessun destinatario, niente francobollo, nessun indirizzo. Mittente sconosciuto.
Una lettera così, per chi non ne aveva mai ricevuta una.
Per le mamme a casa e i figli piccoli con il padre in guerra, nell’incertezza, tra la vita e la morte.
Per i poveri vecchi in attesa della carezza lontana, dell’abbraccio che per orgoglio non hanno poi dato.
Per le fidanzate disilluse dalla primavera che incalza e per i giovani sposi, aspettando lo stipendio che non arriva mai.
Per chi parte e non ha la certezza del ritorno, per chi ha sentore di un addio che non viene mai detto.
Uno scambio di termini, un traffico clandestino di emozioni non proprie ma pur sempre condivise, vissute.
Perché Eveline lo sapeva, sapeva che a volte bastano poche parole per mantenere e creare il ricordo.
Eveline sapeva che anche l’ufficio postale poteva essere un tempio di vita.
[…]Nel Post Scriptum una promessa.
Rita Bernardi

Lavoro all’ufficio postale e rubo lettere. Già dalla busta posso capire molto. Le mie preferite sono quelle con l’indirizzo scritto a mano, un po’ storto, meglio ancora se sopra c’è una macchia di unto.
Le apro tutte. Leggerle è la cosa più bella del mondo. Le più spassose sono le lettere d’amore. La gente innamorata inventa sciocchezze assurde. Non sono male neanche quelle di lavoro. Gente disperata che gonfia un curriculum disperato. Regalano soddisfazioni anche i resoconti delle assemblee di condominio. E che risate mi faccio con i manoscritti degli aspiranti scrittori! Le più noiose sono quelle dei pagamenti. Mutuo, rate della macchina, tasse di ogni genere. Quelle non le voglio in casa mia. Alcune le brucio, altre le invio ai loro legittimi destinatari. Peggio per loro.
Le più belle entrano a far parte della mia collezione privata. A casa, alla sera, me le rileggo. E sono felice.
Se sono cose importanti ancora meglio. Una dichiarazione d’amore. Un’eredità milionaria. Notizie da parenti lontani. Una lettera può cambiare una vita. Ma anch’io posso.
Io non ho mai ricevuto una lettera.
Lucia Cabella

Pagine pulite per parlare. Potenziali proiettori per parole private. Perspicace postilla perturbabile. Pittoresche parti proibite. Paralleli pensieri perduti. Postare per pronunciare, postare per proclamare postare per piacere.
Melissa Ci

Una laurea in Ingegneria, fresca fresca. E sudatissima. Grandi opportunità di lavoro dopo la specializzazione ottenuta, riassumibili in uno zero. Chiaro e tondo. Un’occhiata bramosa verso l’estero promettente, impedita solo dalla lunga fila di laureati già accalcati da tempo alle frontiere.
Unico lavoro agguantato, dopo mesi di stage in azienda non pagati: postino a tempo determinato.
Il piccolo ufficio ordinato, i rimproveri, gli scherzi, i pacchi di lettere che pesano come macigni, i cognomi che sembrano nomi, gli indirizzi strani da ricordare, le raccomandate che qualcuno non vuole firmare. Le vecchine combattenti che non aprono a nessuno e nemmeno al postino. E quelle che aprono solo al postino, perché il postino è una persona importante. Quattro mesi di stipendio garantito, una morsicatina alla torta dell’indipendenza. Tornare la sera a casa dei genitori, con lo sguardo più alto anche se non proprio fiero.
E poi, incalzati dal tempo, ritrovarsi a inviare curricula tutto il giorno. Rintanati nella stessa stanza dove ci si chiudeva per prepararsi a diventare adulti e invincibili. Ormai adulti e ammaccati, ma a sognare ancora un futuro possibile.
Cristina Cornelio

HAIKU
Poche parole
precedono il giorno
Rimiro il cielo
Marina Lorena Costanza

Aveva voglia ad aspettare il suo turno. L’impiegata allo sportello era sua moglie e lui stava facendo la coda per inviarle la raccomandata con cui le metteva per iscritto la richiesta di divorzio , che le aveva chiesto a parole il giorno prima…
Claudio De Maria

Scrisse quella lettera in preda al delirio , bruciando di un fuoco senza rimedio.
L’ira si mescolava all’amore, il desiderio di vendetta a un’urgenza di stringerla che toglieva il respiro, scrisse come non faceva da tempo con un tratto furente, dopo aver sconquassato cassetti e mensole alla ricerca di un foglio .
Caddero sulla carta gocce di vino e lacrime e l’umido della sua mano passata sul viso dolente sciolse l’inchiostro.
La busta andava spedita subito, all’istante ci voleva una lettera raccomandata, assicurata, a consegna immediata. Ma erano le sei del mattino. Allora pensò di bivaccare sul selciato davanti alla posta fino all’apertura. Ma dormì fin quasi alle dieci, tramortito dal vino e dal sonno. Quando si svegliò la fila era infinita: quel giorno scadevano l’Imu, la Tari, la Tasi, la Iuc.
Allora ri-pensò: mi sa che le telefono, e faccio pace, così sento la sua voce, che mi manca così tanto che mi sento morire.
Mariella Giunta

Alzo gli occhi e osservo i tetti soggiogati da una gru azzurra. Oltre il carico che dondola, come uno sputo mal riuscito, si srotola un corridoio di cielo chiazzato di nuvole.
Il finestrino di un fuoristrada opaco, in sosta sul marciapiede, incornicia una corta gonna a fiori che culla un Maltese rannicchiato dietro un libro. Le vite che si rincorrono tra le pagine imprigionano la donna mentre le scruto le cosce e sogno.
Il rintocco delle otto mi esilia nella realtà. Dovrei salire in ufficio.
Oggi no.?Proseguo lungo la via fino a una vetrina colma di libri.
Cosa ci sarà ancora da dire?
Mi guardo riflesso.
Dov’è la soluzione?
Finora non ho fatto altro che assemblare sbarre di una gabbia come tante. Minata da ordigni a tempo. Senza atti di deviazione.
Un rigurgito acido mi sconquassa, devo lasciare. Sfondare questo vetro, correre allo schermo, digitare simboli.
Mattoncini da costruzione, uguali a tanti altri. Ma la mia casa sarà un castello, se qualcuno la vorrà abitare.
E se no: che si fottano tutti.
Hektor Arklys Farasi

Plano dolcemente. Come sa planare la carta, ondeggiando a destra e a sinistra. Un metro è una bella distanza per una lettera. Infine mi poso. Attendo che qualcuno mi raccolga per tornare tra le mie simili. Un calcio. Questa impiegata delle poste è proprio interdetta, mi fa cadere col gomito e poi mi sbatte nel luogo più nascosto del bancone.

Oggi è venuto a trovarmi un ragnetto. Mi ha riempito della sua tela. Almeno ho visto qualcosa di vivo.

La polvere, ormai, mi ha ricoperto. La donna delle pulizie, che viene la notte, passa il tempo a dormire e ascoltare musica.

La scritta “Per Anna Corti” ormai è sbiadita. Anche quella “Mittente Federico Santi” è quasi illeggibile.

Gli operai smontano il bancone. L’ufficio postale cambia sede. Finisco tra i pezzi di legno. Addio.

Federico era un timido. Le sue parole d’amore le affidava alle lettere.
Non ricevette mai risposta da Anna. Si sposò poi cinque volte.
Le sue mogli riposano nel freezer della sua cantina.

Anna sposò poi Franco, un bravissimo uomo.
Che in cantina ha un freezer gigantesco.
Lodovico Ferrari

Sono a New York, sto uscendo dallo studio medico dove un chirurgo ha modificato i miei lineamenti, abbellendoli. Passo davanti a un’edicola, trovo il giornale locale della mia città.
Leggo che sono stata dichiarata scomparsa, mi pensano suicida, affogata nel fiume in cui tante volte avevo pensato di buttarmi per farla finita. Vedo la foto di Matt, straziato dal dolore. E’ dalla sua gelosia che sono fuggita, dalle botte date per motivi assurdi, dettati dal suo amore malato che mi ha privata della gioia di essere madre e dal poter vivere una vita normale. Scopro che la borsa, che avevo lasciato sul ponte con la lettera di addio per Matt, è stata ritrovata da Mary Jones, l’impiegata dell’ufficio postale. Era stata proprio lei a vendermi il biglietto vincente di una lotteria nazionale che mi ha permesso di fuggire, di rifarmi una vita. E’ facile cambiare identità a New York e proprio ora sto andando a ritirare i miei nuovi documenti. Sorrido pensando al mio nuovo nome…Mary Jones.
Maluna Viola

Credo che questo sia un esempio di sottile violenza psicologica e prepotenza :
” Ero all’ Ufficio Postale per spedire una raccomandata.
Ho predisposto il modulo compilato, la scritta “racc.” sulla busta, tutto a posto.
L’ addetta ha digitato al computer, poi ha posizionato una croce sul mio modulo barrando la casella A.R ( richiesta ricevuta di ritorno) dicendo : – Con la ricevuta di ritorno fanno 4 e 40 .
– Non ho chiesto la ricevuta di ritorno, è una raccomandata semplice e va bene così.
– Eh, ma oramai abbiamo fatto ricevuta di ritorno, è lo stesso.
– Mi scusi, no, non mi serve la ricevuta di ritorno e non è lo stesso.
– Va be’, vorrà dire che ci perdiamo noi 60 centesimi, dei nostri!
– Come? ” Ci perdiamo 60 centesimi ” Avete sbagliato voi, ha sbagliato lei, signora, accidenti!
Perché dovrei pagare un servizio non richiesto, che non mi serve e proposto nel tentativo subdolo di far sentire in colpa l’utente?
Vorrà dire che berrete un caffè in meno, arrivederci!
Stefania Fiorin

Ogni giorno alle otto del mattino timbro il badge e mi siedo qui, nello stesso ufficio da trent’anni, a smistare posta.
Per me non esistono promozioni, non esistono cambiamenti: tutto scorre uguale a se stesso, in un moto perpetuo senza ritorno.
Divido nei sacchi e a ogni tocco provo un sussulto; quando il mittente è scritto a mano, immagino storie, sensazioni e sentimenti nascosti nelle parole.
E poi ripenso a lei: alla mia lettera. Profumata di pino silvestre, era uno sbocciare di poesia, un sogno infinito d’amore, la promessa di una famiglia insieme. Scioccamente non risposi: ero giovane e innamorata, ma troppo timida per farmi avanti.
E così persi per sempre la mia occasione; eppure non seppi arrendermi alla solitudine.
Per questo ogni giorno torno in ufficio a smistare posta, con una vecchia busta ingiallita nascosta nella tasca del cappotto, e aspetto di leggere il mio nome sulla busta, di ritrovare ancora intatta l’amata calligrafia e di provare nuovamente a vivere il domani.
Rossana Fontana

Erano le 06:45 e come ogni mattina da ormai due anni, settecentoventi giorni, Hellen aspettava che aprisse l’ufficio postale del paesello dell’alta Versilia. Attendeva notizie dal fronte dove il marito sopravvissuto a rastrellamenti e bombardamenti le inviava missive di speranza. Ogni giorno il postino ammirava quella donna giovane nel fisico, ma piegata dalla guerra, vedeva nei suoi occhi la speranza di riabbracciare il suo amore e dargli in grembo il figlioletto lasciato a pochi mesi di vita. Le missive arrivavano copiose dal fronte e ad ognuna corrispondeva il sorriso generoso del postino alla vista della donna. Quella mattina mentre il figlioletto giocava ignaro nella bottega rastrellarono il piccolo paese; si salvarono solo lo stupore del marito rientrato dal fronte e il figlioletto che giocava sopra le missive della madre, lettere mai aperte.
Il militare conservò tutte le missive e alle 06.45, dopo vent’anni, le spedì al figlio divenuto direttore postale dell’intera Toscana.
Kikko Galderisi

Su di me mia madre aveva poche ma precise idee: medico. Scavallare a sedici anni le colline dove stava in bilico con genitori e fratelli per andare a servizio da una famiglia che i figli studiavano medicina le aveva aperto un mondo. Gente benestante, una professione che si guadagnava e si era colti. Non come gli avvocati però, tutti paroloni, fumo e fregare la povera gente, i medici la salvavano, si sporcavano le mani, tagliavano e ricucivano. Mia madre li stimava e mise in atto una sottile strategia per farmici diventare. Mi narrava di malattie, di quanto fosse gratificante salvare la gente, mi dava in mano siringhe e bende. Un fallimento: le malattie mi schifavano, le siringhe mi spaventano. Delusa dalla mia incapacità e temendo per il mio futuro estrasse dalle poche idee le altre opzioni: ferroviere o postino. Che almeno avessi un impiego statale con uno stipendio sicuro. La posta era perfetta, aveva delle conoscenze, bastava che volessi. Non volli. Un lavoro da coglioni, pensai, inutile per le mie aspirazioni da scrittore. Peccato, sarei potuto diventare il Bukowski italiano.
Graziano Gattone

Ti ho scritto tante lettere, troppe forse.
Lettere che non hai neanche letto, forse.
Lettere piene d’amore o d’odio ma anche buffe e tenere, quasi infantili.
Le hai buttate in un cassetto insieme alle mie richieste, penso.
Ma ogni singola parola è scolpita nella mia mente e nel mio cuore…
Prima o poi ti becco, BABBO NATALE!
Barbara I. Ishtar

Charlesville contava settecento abitanti e casualmente due di loro avevano lo stesso nome e cognome. Non fu il caso, però, a determinare gli eventi.
“Giuro che ero sobrio” insisteva Hank, che tutti conoscevano come grande ubriacone, cacciato ogni notte dal bar del paese.
Il primo Paul Causter, operaio, ricevette a casa un cospicuo assegno che corse a cambiare contento, perché ci poteva pagare le bollette, il droghiere e campare tranquillo per un po’, visto il licenziamento che costringeva la moglie a fare le pulizie nei negozi per mantenere loro e i tre figli.
Quella sommetta era il lauto compenso dell’altro Paul Causter, avvocato, che viveva in paese e lavorava per certi personaggi della contea poco raccomandabili, ma che pagavano puntualmente le parcelle.
Hank il postino intercettò l’assegno e per un senso di giustizia, sperando che non si scoprisse nulla, scambiò gli indirizzi sulle buste consegnando all’avvocato una pubblicità.
“Giuro che ero sobrio” insisteva ancora con lo sceriffo.
Peccato che il Causter avvocato, ricevendo una brochure sulle nuove scavatrici Bucks si fosse insospettito ed essendosi recato al Post Office scoprì tutto.
Francesco Marcone

ANNO 2037.
F.B. Wordnet messanger:
Ciao Francy!!!?Guarda cosa ho trovato su Wordnetnews!
Che ne dici? Sembra bello soprattutto per i bambini.
Se ti interessa a prenotare ci penso io. Fatti sentire!!!
Baci, Lory

“WNN-Locali:
L’associazione ‘Storia Viva’ organizza:
POST OFFICE-UNA GIORNATA NEL PASSATO
che si svolgerà nell’appena restaurato edificio delle Poste Centrali.
Per l’occasione sarà ricostruito anche l’interno del vecchio Ufficio Postale, così come appariva negli anni ’10, quando era ancora perfettamente funzionante. Cos’è una raccomandata A.R.? Come si faceva a mandare un pacco prima dell’informatizzazione totale?
Gli attori della compagnia ‘Sperimento-Teatro’ insceneranno il pagamento di una bolletta, la spedizione di un vaglia e una ‘coda per le pensioni’ accompagnata da chiacchere e battibecchi tipici.
Inoltre: ‘IO, IMPIEGATO DELLE POSTE’. Laboratorio didattico per bambini, dove i partecipanti, supervisionati da specialisti in archeologia pre-informatica, si cimenteranno nell’uso di timbri e macchinari d’epoca e nello smistamento della posta cartacea secondo la tradizione più antica.
Rivivi la storia! Sperimenta il passato!
E’ gradita la prenotazione.
Laura Montagna

È bella, bellissima, ha occhi profondi e neri, color dell’onice, labbra intense e capelli morbidi e scuri, ed una pelle olivastra che sa di antico, come quella di un’indiana.
Questa mattina, appena l’ho vista, ho pensato “è la donna più affascinante che abbia mai incontrato”.
Ero in coda all’ufficio postale e lei si stava dirigendo verso l’uscita, sicché ho accompagnato con lo sguardo il suo incedere aggraziato e leggero, fino a vederla scomparire nel sole. Nel medesimo istante l’impiegata alla cassa si è rivolta a me con asprezza, dicendomi “è il suo turno” e riconducendomi così al mio presente.
Allora ho rimandato l’operazione che dovevo fare ed ho seguito quella donna.
Ora è qui, distesa sul mio letto, nuda e preziosa. Sto ultimando il suo ritratto e sono triste, perché l’effetto del cloroformio tra poco finirà ed io, come sempre, dovrò sbarazzarmi di lei, della donna più bella che mi sia capitato di incontrare.
Marcello Mora

Lorenzo mostrò la lettera all’impiegato dell’ufficio postale.
– Buongiorno, devo spedirla urgentemente.
– Le spedizioni per l’estero sono bloccate.
– Contiene un messaggio importante!
– Mi spiace.
Tornò a casa indiavolato. Scaraventò la lettera sul tavolo.
Ruppe il salvadanaio contenente i risparmi per le emergenze.
Caricò uno zaino con poche cose. Si recò alla stazione. Salì sul primo treno diretto in Francia.
In viaggio conobbe alcuni turisti diretti nello stesso posto. Si unì a loro. Scesero dal treno a Lione. Dormirono in un ostello.
L’indomani ripartirono in pullman. Camminarono per giorni, pregando.
Finalmente giunsero a destinazione: Santiago de Compostela.
Lorenzo salutò i compagni di viaggio e corse in paese. Da lei.
Era seduta in veranda, indossava una camicetta a fiorellini e un dolce sorriso. Tutt’attorno, gioivano persone.
Quando lei lo vide arrivare le si illuminarono le rughe sul viso.
– Lorenzo! Cosa ci fai qui?
– Ti ho portato i miei auguri. Buon compleanno, nonna!
L’abbracciò teneramente, le sbaciucchiò il viso, le strinse le mani. Carolina, compiva cent’anni.
Festeggiarono fino a notte tarda. Scattarono un bel po’ di foto da tenere care e mostrare ai parenti.
Marina Paolucci

Hai troppi impegni e scadenze pressanti?
Lamenti una fastidiosa mancanza di tempo libero?
Perché fare oggi quello che puoi rimandare a domani?
Procrastina.
Liberati dell’oggi.
Non è mai stato così facile. E senza conseguenze.
L’agenzia Post Office, l’Ufficio del Giorno Dopo, è in grado di offrirti un pacchetto su misura per ogni tua esigenza.
Con i nostri servizi sarai in grado di goderti ogni giornata senza l’ansia per quella che verrà. Il lavoro, la famiglia, tutte le noiose pratiche quotidiane? Domani. Post Office si farà carico anche del tuo eventuale senso di colpa.
In alternativa, se non vuoi rinunciare a un minimo di responsabilità personale, Post Office ha quel che fa per te: arriva a cose già fatte. Scavalca la fatica. Limitati a vivere il domani senza il pesante fardello dell’oggi sulle spalle.
Trasforma il presente in futuro.
Fai del futuro il tuo presente.
Scegli Post Office.
Al modico costo di un giorno della tua vita.
(Aut. Min. Concessa)
Matteo Pisaneschi

Brigitta quando doveva andare all’ufficio postale si sentiva infastidita, come andare dal dentista o dal ginecologo.
Incominciava a pensare a dove cavolo avrebbe lasciato l’auto, cinque posti in croce. Quel giorno ne trovò tre liberi, roba da non credere, tanta fortuna meritava di farsi un gratta e vinci appena terminata la missione. Entrata altre sorprese l’attendevano:
1 – l’impiegato rossiccio scorbutico non c’era,
2 – un paio di persone prima di lei. La prima una anziana donnina che stava ritirando la pensione, tanto gentile, per ringraziare lasciò 20 centesimi di mancia all’impiegata: “beva il caffè” ….che tenera, ma dove?
La seconda una matrioska con super poteri, con uno sguardo le aveva fatto contemporaneamente: radiografia, tac, risonanza magnetica. Anche quella si sbrigò velocemente. Brigitta pensò che quella era una giornata fortunata, il parcheggio libero, niente fila. Ora toccava a lei, una firmetta e la busta era sua. Intestazione della raccomandata Polizia Municipale di Maranello, pensò: ti pareva potesse finire bene, vaffanculo il gratta e vinci, vaffanculo la matrioska, vaffanculo il Post Office era meglio andare dal ginecologo.
Giovanna Polini

Rione Sanità. Una folla di gente. M’accodo con la bolletta in mano.
-Scusate bell’ommo. Ma che regalano ‘e pastarelle? E chist neanche ppe mezijunru ce spicciamm.
Allargo le braccia come a dire “Ci vuole pazienza”. Allora lei insoddisfatta, si rivolge alla signora che ha davanti, dicendole:
-CChe calure! E chist ci fanno sfiatare. Ué, aperite ‘na fenesta.
– Segnura nge l’aria cunnizionata- risponde qualcuno dalla fila.
-E cca nun arrivà.
La signora non smette di chiacchierare. Sento un mal di capo alle porte. Esco dall’ufficio postale e entro nel bar tabacchi all’angolo. Pago la bolletta sorseggiando una bella tazzulella di caffè.
Franca Riso

Quel giorno, venerdì 17 marzo, per Franco fu una giornata terribile.
Impossibile da dimenticare.
Nell’ufficio dove lavorava comparve il così detto “tagliatore di teste” e malauguratamente tagliò anche la sua.
Preoccupato e pensieroso, tornò verso casa. Doveva dare la notizia alla sua famiglia.
E allora nella sua mente, di quella testa mozzata, si accese una lampadina.
– Certo farò così, mi sembra un’ottima idea.
L’indomani si recò alla sede del giornale “l’Ambasciatore” per acquistare una pagina intera della conosciutissima testata. La sua inserzione, non doveva passare inosservata.
– Ok, allora scrivo: CERCO LAVORO …
– No, non va bene, chi non cerca lavoro visti i tempi?
– Dunque, scrivo così: DISOCCUPATO OFFRESI …
– Pessima idea.
– Ci sono:
“POST OFFICE”
Hai difficoltà a recarti all’ufficio postale perché la tua auto è gusta, e non hai voglia di camminare?
Hai appena fatto un incidente, e sei a letto con una gamba ingessata?
Hai altri mille motivi per non voler fare la coda alla posta?
Franco, è qui. Veloce, sempre disponibile e onesto
Chiama e non te ne pentirai!”
Fu un successone e capì anche il perché.
Daniela Rossi

Napoli. Galleria Umberto I.
Il trillo del cellulare annuncia la consegna di un messaggio.
Gennaro lo legge, guardandosi intorno intimorito:
“Ti restano quarantotto ore per saldare il tuo debito”.
Come un automa entra nell’Ufficio Postale.
Si lascia andare su una sedia.
Un tremito lo assale. Il sudore gli imperla la fronte.
Una vecchina gli siede accanto.
Nelle mani ha un mazzolino di fresie.
– La vita è un dono ricevuto un giorno, di un mese, di un anno. Devi crederci – gli sussurra.
Poi, claudicante, si avvia all’uscita.
Gennaro la segue, inebetito.
La vede entrare in un portoncino di Vico San Liborio.
Due giorni dopo, ultimatum scaduto, va all’appuntamento. Porgendo uno scontrino di una ricevitoria del lotto, sottovoce sibila:
– Tieni e sparisci.-
Quindi, raggiunge la stradina in cui aveva visto addentrarsi la vecchietta.
Al portoncino si imbatte in una giovane donna:
– Cerco una signora anziana con un piccolo neo sullo zigomo destro.-
– Mia nonna è morta un mese fa. Mi dispiace – gli risponde.
Gennaro deglutisce a vuoto.
Nell’aria aleggia profumo di fresie.
Maria Rosaria Spirito

Come ogni mattina, lei arrivò all’ufficio postale con le buste da spedire: dai colori pastello, delicati, dell’anima.?Silvestro, addetto allo sportello “Corrispondenza e pacchi”, come rito quotidiano, le affrancò e lanciò nella cesta alle sue spalle.
Ne cadde una manciata, che raccolse. Erano indirizzate a orfanotrofi, case d’accoglienza mamme e bambini, reparti oncologici di ospedali pediatrici, dimore per anziani, altro.
Leggerissime, pensò contenessero piume, aria fritta, magari banconote.
Incuriosito, ne aprì una. Vuota. Ne aprì altre due. Vuote. Incredulo, le richiuse e depositò nella cesta.
L’indomani era divorato dalla curiosità.
– Cosa conterranno mai queste buste così belle? – chiese alla donna.
– Tutto e niente. Dovrebbe saperlo, le ha aperte.
– Mi scusi… Lei, come lo sa?
– Contengono “l’astratto del cuore”: baci, carezze, abbracci, per coloro a cui nessuno li dona. Speranza, un pizzico d’amore e sogni per chi non crede più a niente. Silvestro, è stato un piacere incontrarla nel mio cammino. – gli disse strizzandogli l’occhiolino. Poi svanì, inghiottita tra i volti della gente.
Marina Paolucci

- Dodici! – La voce dell’impiegata rimbomba nell’ufficio postale.?Una vecchia signora avanza verso lo sportello e le consegna un pacco da spedire. Le cose andranno per le lunghe, forse.
Ma Serena non ha fretta, aspetta tranquilla il suo turno. Come tutte le mattine negli ultimi dieci anni.
– Tredici!
È stata veloce.
Un ragazzo col piercing paga una bolletta: insolito che abbia i soldi. ?Anche lui è veloce.
– Quattordici!
Finalmente tocca a lei. Si alza e porge la lettera all’impiegata, che la affranca e le rivolge la parola.
– Come va oggi, signora Merisi?
– Tutto bene. Tra pochi giorni mio marito tornerà a casa e finalmente lo rivedrò dopo tanto tempo.
– Bene, sono contenta per lei.
– Grazie. A domani.
Serena si allontana e l’impiegata aspetta qualche secondo prima di chiamare il numero successivo. Rivolge solo uno sguardo a terra, verso il cesto di posta ritornata indietro per destinatario sconosciuto. Lì ci sono tutte le lettere che in dieci anni Serena ha spedito al marito morto in guerra.
Ma nessuno glielo avrebbe mai detto.
Sonia Tortora

Disoccupato cronico, disgustato dalla sbobba della mensa parrocchiale, in perenne astinenza sessuale, (perché non basta scrivere poesie per cuccare le ragazze), decisi di rapinare l’ufficio postale.
Lo dice anche Bukowski che il crimine paga sempre; quindi, perché rimanere seduto sul letto a scolare l’ultima birra e grattarmi sotto le ascelle?
Così, in una notte imbecille, ma nemmeno poi tanto male, architettai un piano che neanche il genio di Shakespeare avrebbe mai inventato.
Il sole bacia i belli ed io sono bellissimo, così agii all’imbrunire, quando l’ufficio stava per chiudere.
Entrai con l’espressione di un cane ringhioso che torna dall’inferno. Prima che potessi pronunciare la fatidica frase “questa è una rapina”, un vecchietto m’apostrofò:
– Ehi, giovanotto, aspetti il suo turno e rimanga a sud del cartello!
– Come, a sud? – balbettai, sconcertato. – Adesso la fila si fa con i punti cardinali?
Gli altri clienti mostrarono, con gesti e mugugni, d’avercela tutti con me.
Beh, lo confesso, sarò un codardo, ma ormai l’estro m’era passato. Me ne andai con la coda tra le gambe e mi diressi a nord… credo… boh!
Anna Rita Foschini

Sono sempre io: il balordo che si era ficcato in testa l’idea di fare un colpo alle Poste. Come rapinatore non ho fatto molta strada, però mi sono fatto la postina. Anzi, lei si è fatta me.
Alla fine non mi butta tanto male: la ragazza si è affezionata e mi ha dato le chiavi di casa. Vitto e alloggio gratis, sesso a gogò e qualche spicciolo per le sigarette e una birretta. Finalmente, lassù qualcuno mi ama!
La tipa va sempre in giro senza mutande e sta in fissa con l’idea che devo provare a fare lo scrittore. Dice che ho le physique du rôle: sono abbastanza disgraziato, disperato, sciagurato… insomma, un mucchio di simpatici appellativi che finiscono in “ato”.
Secondo lei potrei diventare il nuovo Bukowski. Io non so nemmeno chi sia, questo signore, ma se assomiglia a me, dev’essere parecchio sfigato.
Per farla contenta proverò a scrivere qualcosa, anche se so usare la tastiera solo con due dita.?Dunque, vediamo…
“Era una notte buia e tempestosa… “
No… questo mi sa che l’hanno già scritto…
Anna Rita Foschini

Come sempre l’Ufficio Postale è strapieno, meno male che devo solo ritirare la posta arrivata mentre ero via. La gente ammazza il tempo dell’attesa chiacchierando vivacemente e tra loro scorgo il mio collega che attacca subito bottone. Mentre lui parla apro una delle lettere appena ricevuta e sbianco in viso – Che c’è Anna, qualche brutta notizia?-
– Certo che si, mi informano dal paese che è morta la mia madrina-
– Mi dispiace, conti di andare al paese per il funerale?-
– Vorrei, peccato che la lettera è stata spedita un anno fa!-
Annamaria Vernuccio

Caterina compra tanti fiori e sorride emozionata quando le si para davanti un cagnolino.
Accarezza i cuori della gente con sorrisi delicati. È gentile con tutti e ama leggere alla luce fioca di un camino in pietra. Quando entra in ufficio e prende possesso della scrivania tutti aspettano solo di poterle parlare.
Un ragazzino, fra la folla agli sportelli, le si avvicina e le porta un pezzo di cioccolata.
– È pasqua signora Caterina, lo mangi ma non sarà di certo più dolce di lei.
– wow, grazie! Donato lo sai quanto sia golosa – se ne delizia.
– Mi vuoi sposare? – le chiede amabilmente.
– Ma io sono vecchia per te! – sorride di gusto.
– Mia mamma ha detto “se vuoi sposare una ragazza devi farla ridere e regalarle tanta cioccolata”. Posso darle almeno un bacino?
– Certo! Vieni qua! – lo sbaciucchia tutto.
– Grazie signora Caterina. Buon lavoro!
– Grazie Donato, a presto.
Donato esce felice dall’ufficio postale, pensa a quando sarà grande e potrà sposarla.
Vincenzo Attolico

Avviso dall’altoparlante:
“E’ stato rinvenuto, presso questi uffici, il TACCUINO DI UN VECCHIO PORCO”.
Un Giovane:
“Conterrà due righe su UNA NOTTE NIENTE MALE. Le solite conclusioni affrettate!”.
Una Signora, rivolgendosi al Marito:
“Dovrebbe trattarsi del Diario segreto di una Donna infelice, così infelice da scrivere, almeno, secondo quanto mi hanno raccontato: L’AMORE è UN CANE CHE VIENE DALL’INFERNO! Che ne pensi, caro?”.
Il Marito annoiato:
“Me ne frego, cara. QUELLO CHE IMPORTA è GRATTARMI SOTTO LE ASCELLE.”
Intanto, un’impiegata, sussurrando:
” Io l’ho visto! E’ un libretto nero con una SVASTICA stampata sopra. C’è una dedica: “Alle RAGAZZE CHE SEGUIVAMO””.
Il Giovane di prima, sentendo:
“Allora il taccuino è di un fascista pure maniaco…davvero di un PORCO!! Che schifo! Andrebbe spedito dritto dritto nella terra di Nessuno, al “SUD DI NESSUN NORD”!
L’Amico che era con Lui:?”Per protesta, stasera, SEDUTO SUL BORDO DEL LETTO, MI FINISCO UNA BIRRA AL BUIO!”
In fondo alla stanza un Ragazzino sogghigna:
“Cavolo, CE L’HANNO TUTTI CON ME! Beh, quasi quasi, esco. Fuori s’è aperto il Cielo e IL SOLE BACIA I BELLI”.
Wilhelmina Vagante

L’aria era fresca, profumava di fiori, era primavera.
Alice andò alla Posta per ritirare la pensione.
Entrò e prese il numero. Si sedette attendendo il suo turno.
Inavvertitamente, si addormentò.
– Signora Munro, ci scusi, dobbiamo chiudere.
– Caspita! Mi sono addormentata! Alla mia ottuagenaria, capita. – disse, guardando smarrita il giovane impiegato postale.
– Quindi, dovrò tornare domani, e rifare la fila, per ritirare la mia pensione? – aggiunse.
– Le casse sono ormai chiuse. Mi spiace. – replicò il giovane. Guardandola negli occhi lesse dentro il suo dispiacere.
Conosceva la signora, sapeva che non aveva avuto vita facile. Viveva di stenti, della sua pensione, sociale, senza parente alcuno.
Tornò alla sua postazione, riaccese il computer, sbloccò la cassa, prelevò i soldi della signora Alice. Glieli porse in una busta, regalandole una carezza.
– Ivan, grazie! Lei è gentilissimo! – esclamò ringraziandolo, sorridendo di felicità.
– Ho fatto il mio lavoro.
– Sa quale è la differenza tra lei e i suoi colleghi? Lei lavora col cuore. Il ragazzo si commosse. Aiutò l’anziana ad alzarsi dalla sedia e insieme uscirono dal Post Office.
Marina Paolucci

Queste sono le CONFESSIONI DI UN CODARDO, scritte dopo aver trascorso una NOTTE IMBECILLE che mi porterà in galera.
Ho sempre amato le DONNE, sono state la mia rovina. Sono un poeta ma SCRIVO POESIE SOLO PER PORTARMI LE RAGAZZE A LETTO.
Certo, SHAKESPEARE NON L’AVREBBE MAI FATTO, scandiva la bellezza in parole e sonetti, scriveva in nome dell’arte.
Io scrivo per motivi più materiali. Ma veniamo a ieri sera quando sono andato da John per UNA CENA A SBAFO.
Abbiamo ricordato i tempi di QUANDO ERAVAMO GIOVANI. Mi è venuta una grande tristezza che ho affogato nel whisky, perché io risolvo sempre i miei problemi così. Io sono L’UBRIACONE, quello che evitate per strada, quello che ha ucciso John per avergli portato via la sua donna, l’unica che ha veramente amato.
IL CRIMINE PAGA SEMPRE, finalmente metterò a tacere la rabbia che mi divora da allora. Manderò questo messaggio ai POST OFFICE di tutte le città dove ho vissuto per regalarvi la mia ultima perla di saggezza “IL PRIMO BICCHIERE E’ SEMPRE IL MIGLIORE”
Maluna Viola

CHIUSO
Graziano Gattone

2012: Bye-bye Baby – Epitaffi da Facebook

“Bye-bye Baby” è la nuova iniziativa di micro-letteratura indetta dal Premio Antonio Fogazzaro per la sua Vª edizione. Per tutto il periodo di Aprile, il Premio Antonio Fogazzaro ha chiesto ai suoi oltre 800 utenti di Facebook di postare all’interno della propria pagina un messaggio di addio o di arrivederci o un Epitaffio.  Continua a leggere 2012: Bye-bye Baby – Epitaffi da Facebook