CAPITOLO IV
SCRIVO POESIE PER PORTARMI A LETTO LE RAGAZZE
Non riesco a restar solo con Me anche quando dormo.
Wilhelmina Vagante
L’UBRIACONE
Il bar ormai è la mia casa. Il bancone è il mio divano. La barista è la mia tv. Il primo bicchiere è il più difficile da buttare giù, apre la strada agli altri. Il secondo e il terzo sono i più veloci. Dal quarto in poi è tutto più leggero. Il tizio seduto alla mia sinistra sbiascia dei suoi problemi: lavoro, donne, figli. E chi lo capisce? Non ho mai avuto tempo per tutte queste cose, sono sempre stato troppo impegnato a sbagliare. Al tavolo dietro di me ci sono dei ragazzi, si sfidano a suon di birre. Beltà e stupida gioventù. All’entrata ci sono delle ragazze, probabilmente sono meno belle di quello che l’alcool le fa sembrare. Il bar ormai è casa mia, ma questa gente io non l’ho mai invitata. Finisco l’ultimo bicchiere, mi sale la nausea. Vado a casa, quella vera. La gente mi fa venire il vomito.
Andrea Zanchi
QUANDO ERAVAMO GIOVANI
L’odore di fritto si diffondeva in tutte le stanze della casa,
lui nervosamente spalancava le finestre. Odiava quell’odore.
Ogni sera questa scena si ripeteva, io ai fornelli e lui seduto sul divano a fissarmi e a lamentarsi per gli odori del cibo.
Amavo la sua compagnia mentre cucinavo e sopportavo con piacere le sue parole.
Ogni cena terminava con sorrisi e baci.
Eravamo così giovani e innamorati!
Adesso non godo più di quegli sguardi mentre sono in cucina, né sento le sue parole.
E ogni sera sono io ad avvicinarmi a quel divano e imboccargli la cena; lui
mi sorride soltanto.
La sua malattia ci impedisce gesti quotidiani e di routine, ma ha rafforzato il nostro amore.
Ogni sera mi innamoro di lui e lo amo ancor di più rispetto a quando eravamo giovani!
Giusi Caligiuri
CONFESSIONI DI UN CODARDO
Mario ricordava la rabbia lacerante salire precisa precisa verso il cervello e quel senso di impotenza sfiancargli le braccia. Aveva 6 anni. Ricordava a 13 anni il fumo acre di una canna aspirato cercando proprio quello che poteva dargli: anestesia. Una vita trascorsa a scappare dal terrore dei suoi primi passi su cocci di vetro taglienti. Mario guardava il traffico scorrere veloce sotto di lui e pensava a quanto aveva rinunciato per correre via con gli occhi rivoltati sulla nuca: amore, amicizia, semplici sguardi di complicità, rapporti umani. Sempre ad attraversare le persone, i sentimenti e le cose, non era mai riuscito a dire a suo padre che gli aveva rovinato la vita, ma soprattutto non era mai riuscito ad impedire a se stesso di rovinarsela. Con uno scatto felino saltò sulla ringhiera del cavalcavia e senza indugio si lanciò nel vuoto a braccia spalancate, accogliendo il nero asfalto con un sorriso e un solo pensiero:
“Finalmente”
Michele Stefanoni
DONNE
Quando arrivai, le due donne stavano comodamente sedute su un sofà di una splendida stoffa etnica.
I colori dell’oro, dell’arancio e del bronzo, contrastavano la loro carnagione chiara.
I lunghi capelli di un nero corvino scendevano sui corpi perfetti.
Di fronte c’era un cavalletto da terra.
Le loro ombre riflettevano sulla grande tela bianca.
Il mio lavoro poteva cominciare, tutto era pronto.
Non avevo molto da fare, l’immagine così come la vedevo era già in pratica compiuta.
Presi un carboncino e lavorai sui contorni delle due donne.
Evidenziai il loro viso gentile, i loro seni generosi e le loro belle gambe lunghe.
– Solo con la potenza delle sfumature nere, il quadro arriverà dritto al cuore – pensai.
– Finito – Affermai.
– Bellissimo! – dissero le due donne all’unisono.
– Ora possiamo rivestirci? Stiamo congelando.
Il pittore rimase senza parole, l’atmosfera che aveva creato svanì in un attimo.
Rimase solo con il suo sofà e i suoi attrezzi da lavoro, solo com’era arrivato.
Daniela Rossi
NOTTE IMBECILLE
Una sera d’agosto, un signore di mezz’età, conosciuto in paese e pieno zeppo di acciacchi, si fermò nel bel mezzo della stradina in cui viveva, si sedette per terra.?L’uomo a gambe incrociate salutava nel vuoto. I passanti, pensandolo un pazzo, scappavano lasciandolo solo fra il pietrisco e il cemento.
Si formò un’insolita folla di guardoni. Chi si avvicinò per primo all’uomo fu una donna gitana che vendeva ciondoli per tirare avanti. Si volse al vecchio tendendogli la mano sudaticcia, mentre chiunque le faceva cenno di scappare. – Posso sedermi anche io qui con voi? Cosa c’è di bello qui? – domandò incuriosita all’uomo.
– Certo, la prego, qui è dove ho visto salire in cielo il mio angelo – rispose l’uomo.
La donna, allora, si alzò di scatto mimando un saluto rivolto al firmamento.
La marea di gente che s’era fiondata lì per sghignazzare si ammutolì.
Se salutiamo tutti di certo ci vedrà! – commentò la zingara.
Tanta gente, un vecchio e una gitana sospiranti, guardavano al cielo.
– Hai ragione! – osservò l’uomo con i lucciconi agli occhi.
Vincenzo Attolico
SHAKESPEARE NON L’HA MAI FATTO
Shakespeare, pochi lo sanno, era goloso.
– Anne, come mai, Shakespeare non l’ha mai fatto? – chiese la cuoca di casa alla moglie.
– Che cosa, Margareth?
– Un dolce! Visto che ama mangiarli, potrebbe imparare a farli.
William per sbaglio udì la conversazione. Prese le parole come sfida personale, sentendosi punzecchiato.
L’indomani comunicò a Margareth che avrebbe preparato lui il dolce per il “Tea time”.
– Farò una torta a modo mio. Anne, Susan, Hamnet e Judit, sono certo, apprezzeranno.
Chiese di restare in cucina, da solo, senza essere disturbato. Chiuse la porta. La cuoca restò basita.
Passarono tre ore. Finalmente, la porta si aprì.
William invitò tutti ad accomodarsi a tavola, già imbandita per il consueto rito all’inglese.
Li raggiunse reggendo una grande teglia, coperta da una tovaglietta di fiandra bianca ricamata. La sollevò, e, con un inchino, rivelò il suo capolavoro: una pila di fogli accatastati.
Gli ospiti rimasero a bocca aperta.
William, al posto di fette, servì sonetti, scritti a mano, accompagnati da affettuosi baci.
Ai presenti non restò che incassare la burla poetica, lodando la creatività.
Marina Paolucci
CENA A SBAFO
“Comincio dal padrone di casa” dissi, rivolgendo sguardo e bicchiere verso Giorgio “uomo generoso sotto tutti i punti di vista. Quante cene, viaggi, ottime bottiglie e golosità! Certo, come dice Grandeur, non costan nulla: primario d’ospedale, studi a destra e a manca. Fra pazienti e case farmaceutiche, potresti aprire un bazar! Per non parlare del tuo sperma, che distribuisci ovunque: vali diverse banche del seme… A Giorgio, il generoso!”. Portai il bicchiere alle labbra e bevvi. Anche gli altri, ammiccando. Pure Giorgio, perché in fondo, gli davo del “figo”.
“E ora per non tirarla lunga, un brindisi comune: a Grandeur che ha da sempre compagne sante, conosciute nei night! A Giulio, convinto di essersi scopato una giornalista e non un’entreneuse! A Mirco, come me, eterno single ma pieno di amanti, e tutti dai possenti bicipiti! A Marco e alla sua vecchia gallina: tornerà al pollaio, i soldi le fanno comodo… E soprattutto a te Filippo che hai ragione: sono brutto povero e alcolizzato e tua moglie è una troia. Lo so bene: spero continuerà a scoparmi anche dopo il divorzio!”.
Graziano Gattone
IL CRIMINE PAGA SEMPRE
Biancaneve preparò con le sue mani una crostata di mele per l’adorabile matrigna.
Patrizia Benetti
IL PRIMO BICCHIERE, COME SEMPRE, È IL MIGLIORE
Il secondo, lo apprezzi, ma solo perché è laureato.
Il terzo, mi spiace: s-bronzo.
Al quarto, ti sembra benzina.
Al sesto, togli la cannuccia dal serbatoio dell’auto.
Al settimo, cominci a parlare una lingua sconosciuta.
All’ottavo, avvisti un UFO.
Al nono, ti accorgi che la lingua sconosciuta che parli, è quella degli UFO.
Al decimo, sei così ubriaco che ti va bene anche la tua ragazza.
Maurizio D. Capuano
TACCUINO DI UN VECCHIO PORCO
Angiolina trasportò e seppellì resti di una vita da scordare. Avrebbe dimenticato il cane che l’aveva trascinata all’inferno, le violenze subite da quel porco e quel misero lavoro di pulivetri nella fabbrica di scarpe. Finalmente la morte se lo era portato. Il comune, a suo carico, mandò qualcuno a prendere il feretro del marito per seppellirlo. Ella non andò al funerale. Non chiese se il prete avrebbe detto messa. Restò a casa incredula e felice. Quando la bara fu uscita e non sentiva più grugnire l’animale, chiuse a chiave la porta e abbassò le persiane alle finestre. Forzò un cassetto. Trovò gli strumenti nefandi che egli usava per seviziarla. C’erano soldi, tanti ; tutti quelli che ella guadagnava nei lunghi giorni di faticoso lavoro e che era costretta a consegnare al suino con precisa scadenza. Poi c’era un taccuino con annotazioni di sevizie. Al buio, Angiolina prese una birra dal frigo, si sedette sul bordo del letto. Bevve fino all’ultima goccia facendo scendere tutto l’amaro. Si addormentò esausta. Il giorno nuovo le avrebbe riconsegnato la sua vita.
Marina Lorena Costanza
SEDUTO SUL BORDO DEL LETTO MI FINISCO UNA BIRRA NEL BUIO
La ventola sul soffitto gira, la stanza suda dalle pareti oramai grigie. Mancanza di luce e fumo è la tappezzeria che il mio modo di vivere ha scelto per rivestirle. E mi piace, non vedo me nella stanza, i bastardi vivono nel buio, bevono, fumano, scopano, se hanno voglia di scopare. Al mattino si ritrovano sul bordo del letto soli, il sole si è portato via il corpo che hanno fatto sudare tra le mani. Una bottiglia sul pavimento, la mattina hanno la bocca impastata di alcool e sesso, i bastardi. Non parlano. Vivo la mia vita al buio, brucerò al buio, ma ubriaco. Al buio riesco a riempire il taccuino di un vecchio porco, le memorie delle notti obnubilate dalla birra, offuscate dal fumo. La ventola è da riparare, toccano tra loro, sembrano i colpi secchi che sferzavo dentro il corpo di quella che è appena uscita dalla mia stanza. Era troppo pulita per me, Claudia, era troppo. Meglio soli, ora, con la mia birra in questo cazzo di buio che mi porto nell’anima.
Sharon Lake
LA RAGAZZA CHE SEGUIVO
Era iniziato come un gioco… solo uno stupido gioco…
La mia natura ad assecondarla in ogni suo capriccio, mi aveva reso cieco e non mi aveva saputo far cogliere i segnali del pericolo…
Dopo tre ore, mi accorsi dell’errore a cui non sapevo, se sarei mai riuscito a rimediare!
Col cacchio che la prossima volta ti accompagno a fare shopping!
Eleonora Desiderio
CE L’HANNO TUTTI CON ME
Mi hanno messo in carcere per otto mesi, ma questo è il meno.
È quello che dicono di me da quando sono morto che mi dà un po’ fastidio. Sono diventato un così pessimo esempio per grandi e piccini che neanche il lupo della favola di Cappuccetto Rosso è così infamato.
Eppure per molti anni l’ho sfangata alla grande. Folle urlanti più di Maradona al San Paolo; una carriera folgorante su e giù per l’Europa; ho sposato una bella valchiria bionda; ho scritto un best seller.
Eppure vedono solo i lati negativi della mia carriera!
E quella storia che ho una palla sola, poi…
Ah, quasi mi dimenticavo: mi chiamo Adolf Hitler, piacere.
Luigi Siviero
L’AMORE E’ UN CANE CHE VIENE DALL’INFERNO
Ti ho trovato sul ciglio di una strada.
Mi hai trovata sull’orlo di una crisi.
Tu solo. Io sola. Vagabondi di una vita infernale.
I tuoi occhi hanno incontrato i miei sussurrando un’emozione: amore.
Ti ho nutrito, curato, salvato. Mi hai guarita, salvata, resuscitata. Mentre prendo il guinzaglio ululi di gioia.
Usciamo insieme affrontando una nuova giornata. Scodinzolando alla nostra nuova vita.
Cinzia Colantoni
UNA NOTTE NIENTE MALE
La casa se ne sta zitta, adesso.
Marco dorme profondo, dopo aver fatto la solita finta: – Vuoi che vada io? -. Carattere perfetto, sfugge ai problemi della vita con abilità.
Giulia ciuccia avida, le son bastati quattro strilli ben piazzati per ottenere ciò che voleva. Carattere deciso, si imporrà nella vita.
Il mio piccolo Gian si è alzato con me e mi fa compagnia. La testa gli pende dal sonno ma la gelosia fa di lui quello che vuole. Non può lasciarmi sola mentre do il latte alla sorellina, mi si appoggia vicino, mi abbraccia. Carattere sensibile, soffrirà nella vita.
Anche questa sarà una notte niente male, da alcuni mesi le sto collezionando.
Dalla finestra vedo un albero nero piegarsi al vento, le prime gocce di pioggia schiantarsi sul vetro. Rabbrividisco, tornerei volentieri a letto. Ma la piccola non mi convince, se la metto giù piange, son sicura. Prendo in braccio anche Gian e lo rimetto nel suo letto. Mi ci siedo vicino, dondolo un pochino lei, intanto che accarezzo i capelli a lui. Carattere tenero, vita dura.
Cristina Cornelio
QUELLO CHE CONTA E’ GRATTARMI SOTTO LE ASCELLE
Che il mondo corra pure, che la gente si affanni quotidianamente per un ideale o per un tocco di pane. Per me sono tutti pazzi. Me ne frego del tempo che scorre e del futuro e di questa stramaledetta tecnologia. Io batto sui tasti della mia vecchia macchina da scrivere. E’ tutto ciò che mi serve insieme a un foglio bianco, tutto da inventare. Me ne fotto del progresso. L’arte non ha fretta, non ha tempo, non ha confini. L’arte è eterna.
Patrizia Benetti
IL SOLE BACIA I BELLI
Mi fermo sulla soglia della spiaggia. La rena bianca e calda mi scricchiola sotto ai piedi, il sole estivo rischiara la maschera di cicatrici e protuberanze ch’è la mia faccia.
Un essere deforme, ecco cosa sono.
Quand’ero piccolo gli altri bambini mi lasciavano in pineta, lontano da occhi indiscreti.
“Il sole bacia i belli” mi ripetevano.
Li sentivo ridere e giocare, mentre le lacrime mi tagliavano la faccia sfigurata.
In lontananza le onde del mare, le pallonate, la spensieratezza dell’infanzia.
I bambini sanno essere crudeli.
Guardo una coppietta abbracciarsi, isolata, stagliata contro l’azzurro dell’orizzonte. Lei è bionda e sensuale, lui muscoloso e affascinante. I raggi brillano sui loro volti perfetti, da copertina. Entrambi sono la somma di tutto ciò che non ho mai avuto.
Mi avvicino a loro.
Il vento m’inebria col profumo fruttato della ragazza.
Tengo una mano sulla cinta, l’altra sulla fronte per ripararmi dalla luce e non contaminare il paesaggio con la mia bruttezza.
Sono un mostro.
Spazzatura, vomito e sangue.
E lo si sa, il sole bacia i belli.
Così come la mia semiautomatica.
Samuele Fabbrizzi
LA SVASTICA
C’è un sole a strisce sulle vesti, in righe bianche e nere. E più delle sbarre, può la stoffa farsi prigione, se rifiuti le ombre di quel sole.
Il sole.
Il sole a quattro braccia.
Che rotola nel cielo, a scatti, giacché una mano primitiva ne ha scalpellato il bordo, le braccia uncinate aratro della storia, nel suo humus messo a nudo.
Una semina che è sepoltura. E niente di buono ne nasce, forse a primavera, fra un po’, millenovecentoquarantacinque.
Nel mentre, soldati contadini, zappe e vanghe nei fucili, la svastica appuntata sul petto, le braccia uncinate affondate nella carne, che girano e dilaniano.
E forse per questo non c’è più un cuore dentro che possa dirsi tale. O forse mai c’è stato, se si è scelto a stemma quel simbolo distorto.
Perché la svastica era il sole. Buono, caldo, eterno sole.
La svastica è ora ombra nera sopra il sole.
È notte, buonanotte, che Dio vi benedica.
Domani, forse, nel sole, una svastica che gira a rovescio, così com’era un tempo.
Anche se poi, ahimè, potrà mai portarci indietro.
Matteo Pisaneschi
A SUD DI NESSUN NORD
A sud di nessun nord, a nord di nessun sud…forse ad est, o forse no, ad ovest. Il dubbio di essere ovunque, in ogni istante. Essere in centro e girare su di sé, proprio come fanno le trottole. Girare, girare, girare. Boom. Un tonfo. La testa scombussolata, il corpo sdraiato a terra, il volto che piano piano si rialza. Stelle. Tante stelle. Stelle che ruotano in un movimento circolare. Un po’ a nord, un po’ a sud, un po’ di qua, un po’ di là.
Melissa Ci
PANINO AL PROSCIUTTO
Povero caro, sta riposando, finalmente!
Seduta, ai piedi dell’alto letto d’ospedale, osservo Angelo.
Gli occhi ombreggiati da folte ciglia, segnati da profonde occhiaie, sembrano più grandi nel viso scarno.
La chemio gli fa un effetto devastante, lo fa vomitare per ore, senza tregua, toglie quel po’ d’energia che gli rimane e che, con fatica, cercherà di recuperare e farsi bastare…fino alla prossima terapia.
E’ troppo giovane e forte per cedere, tiene duro, per fortuna!
Si sveglia e mi guarda.
Un mezzo sorriso conferma che il peggio è passato, dice : – Hai mangiato? – rispondo – No, non ancora – aggiunge – Mi sono svegliato perché sentivo profumo di panino al prosciutto, ne mangerei uno volentieri, me lo vai a prendere? E magari anche una Coca.
Stefania Fiorin
BIRRA, FAGIOLI, CRACKERS E SIGARETTE
Fred spalancò la porta ed entrò di corsa nella stanza. Nell’aria, un buon profumo di lavanda. Niente male per uno spray da discount. Si sedé goffamente, piegato in due dai dolori, e rimase in contemplazione del proprio riflesso sfocato sulla parete piastrellata.
“Con quali schifezze hai cenato stavolta?” gli chiese Chester, immobile.
La sua pelle di porcellana a trattenere il timido bagliore della luce artificiale.
“Cracker e birra.”
“Bugiardo.”
No, Fred non gliela raccontava giusta. I suoi calzoni puzzavano di rancido, effetto collaterale della colite. E quei brontolii intestinali…
“Dì un po’, mica hai mangiato fagioli?”
L’altro abbassò lo sguardo.
“Sei uno stronzo, Fred. E io di stronzi me ne intendo.”
“Scusa Chester…”
“No, sono stufo. Lo sai che ti fanno male, eppure non t’importa. Continui a spararmi merda in faccia. Per chi mi hai preso? Non sono un cesso dell’autogrill.”
Fred scoppiò in lacrime. Sapeva d’aver rovinato tutto.
Lo aveva deluso.
Era finita.
Nella sua mente, i bei momenti passati sulla tazza.
Tirò lo sciacquone e s’accese una sigaretta.
Dove avrebbe evacuato adesso?
Chissà se Chester avrebbe sbollito l’indomani…
Samuele Fabbrizzi
LE POESIE DELL’ULTIMA NOTTE DELLA TERRA
Sento la tua presenza. Ti avvicini, è L’Ora.
Sarai dentro di me e non saprò resisterti
Hai il fuoco dentro, sarai deflagrazione.
Poi, tutto svanirà.
Giacché gli assi roteano, come non dovrebbero
e i sette pianeti collassano, come non vogliono,
attrazione e respingimento non rispondono più.
Destino crudele, per me Pianeta,
che a te prono si arrende, mio Sole.
Tu che mi nutri, ora mi dai la morte.
Nell’ultima notte, scellerata stella,
sei pronta a uccidermi, inerme
e assieme a me uccidi l’Uomo, impotente.
Francesco Marcone
STORIE DI ORDINARIA FOLLIA
“Signora, si svegli”. Socchiudo gli occhi, non riconosco la voce, mi trovo davanti un tizio vestito di nero. E questa non è casa mia!
“Non si preoccupi, sono Ambrogio, si prepari l’aspettiamo di sotto. So che ha voglia di qualcosa di buono”
Sono sbalordita, che posto è?. Scendo le scale, mi ritrovo in uno stanzone con mola di mulino e tavola imbandita.
Antonio Banderas mi accoglie, con tanto di gallina sottobraccio. “Buongiorno Lucia. Questo è un mondo buono, la colazione è servita” “Ma è impossibile!!”
“Impossibile è solo una parola. E poi immagina, puoi!”
Inizio a mangiare, è tutto buonissimo, come natura crea.
“Più lo mandi giù e più ti tira su”. E’ un sogno, non rischio di diventare tutta ciccia e brufoli.
Però …. ragiono come negli spot pubblicitari, voglio svegliarmi!!!
“Tranquilla qui non vendiamo sogni ma solide realtà, solo fatti non parole”.
Mi agito, mi agito e finalmente mi sveglio, tutta sudata.
“Hai fatto un brutto sogno?”
“Era strano, sembrava così reale”.
“Sarà perché sei fatta della stessa materia di cui sono fatti i sogni!”
Lucia Amorosi
NIENTE CANZONI D’AMORE
Sei alla guida, segui la strada, eppure interferisci.
Sei cinica, sai? A volte stronza. Ma mi fai sangue, come nessuna.
Dici ‘La scopata migliore è quella che non hai fatto ancora’.
Quindi stiamo insieme per scopare sempre meglio?
Non è per me. Chiamami stupido ma credo alle balle sull’amore.
Ancora un po’, poi smetto. Quella stronza mi ha mollato, ricordi? Ha lasciato la città con quell’altro e coi figli che ha messo al mondo con me.
Resta l’alcol, ma non puzzerò mai come un ubriaco.
Resta il cibo, ma non metterò la pancia.
Ho avuto molte donne, in ognuna di loro trovavo qualcosa, pur inseguendo qualcuno.
Ora ho te, che ti sei presa l’anima ma tieni lontano il corpo.
Cucini bene, mi offri del buon vino. Mi dai sesso, eccellente ma scarso. Io sempre arrapato, tu che mi respingi.
Respingi anche l’amore, lo vedo dalle piccole cose.
Come in macchina.
Trovo una stazione alla radio, una canzone che mi piace e tu allunghi la mano, cambi, poi infastidita e fredda, fissando la strada, dici “Niente canzoni d’amore.” E io sprofondo.
Francesco Marcone
TUTTO IL GIORNO ALLE CORSE DEI CAVALLI E TUTTA LA NOTTE ALLA MACCHINA DA SCRIVERE
Si, va beh, dopo una settimana ero già stanco di quel tipo di vita, tanto mi stavo pisciando quegli ultimi quattro dollari all’ ippodromo, soldi che non riuscivo nemmeno a recuperare in parte scrivendo di notte.
Però quel maledetto cavallo doveva vincere prima o poi, lo aveva già fatto in precedenza e non poteva mancare molto per una sua prossima vittoria.
Puntai su di lui tutto quello che avevo il giorno che l’ editore del giornale mi disse che mi avrebbe presto rimpiazzato se continuavo a scrivere articoli di merda, così mi disse.
Persi tutto, presi la mia Smith & Wesson e la puntai alla tempia… poi mi fermai, ricordando dove potevo andare a vendere la macchina da scrivere per poter fare un’ultima puntata su quel cavallo maledetto ,anche se questa fosse stata l’ultima insignificante notizia della mia vita di scrittore di cronaca nera .
Claudio De Maria
SANTO CIELO, PERCHÉ PORTI LA CRAVATTA?
Scena 1- Interno giorno mattina – camera da letto
Un uomo a letto ancora assonnato e una donna in piedi pronta per uscire.
Lei: “Dai alzati. Dobbiamo andare”
Lui si alza con aria assente e prepara la valigia.
Lei ridendo: “Santo cielo, perché metti la cravatta? Andiamo al mare per un giorno”
Lui: “E’ la mia preferita!”
Patrizia Paesani
URLA DAL BALCONE
Apro finestre
che non ho.
Lancio sassi
che diventano macigni.
Invento silenzi
che sono tuoi.
Urlo silenzi
che scappano
da me.
Altalenante
Metodo
di persuasione
infantile.
Apro balconi,
nelle fredde
sere,
tu sei lì,
urlo, dal balcone.
Finalmente.
Anna Dixie
PULP. UNA STORIA DEL XX SECOLO
Ieri notte un uomo era in bilico su un cornicione.
Un gatto randagio rovistava nell’immondizia.
Una prostituta ed un viaggiatore facevano l’amore in un motel.
Chet Baker suonava l’ultimo pezzo al Bop City; una donna sola ascoltava.
Due malviventi contavano i soldi di una rapina nel loro appartamento.
Un vagabondo osservava l’uomo sul cornicione.
Oggi nevica ed una donna corre per non perdere l’autobus.
Uno strillone distribuisce l’edizione del mattino del San Francisco Chronicle.
Il direttore della Bank of America riceve due nuovi importanti clienti.
Due poliziotti entrano in un motel per ispezionare la scena di un duplice omicidio.
Un uomo ascolta un vagabondo fischiettare un motivo di Chet Baker.
Il Sacramento scorre, come sempre.
Marcello Mora
SOTTO UN SOLE DI SIGARETTE E CETRIOLI
Si abbronzarono felici il fumatore e la moglie trascurata.
Sonia Tortora
MUSICA PER ORGANI CALDI
Ai tempi della mia adolescenza, non erano molti i diletti delle fanciulle in fiore.
Ricordo con nostalgia le lezioni di educazione musicale che erano il preludio, per le più predisposte, di una sfolgorante carriera come concertiste poli strumentali. Invero, anche le meno abili potevano, con esercizio e costanza, erudirsi nella materia e ricavarne soddisfazione.
Oh, non pensiate che ci mettessero subito a disposizione un organo! Bisognava prima imparare la teoria e impratichirsi nel solfeggio. Così, si andava avanti per mesi allenando la mano in “battere e levare”.
Solo quando eravamo abbastanza esperte, e non ne potevamo più degli esercizi solitari, passavamo a quello che era lo strumento musicale più evocativo e democratico: il flauto dolce.
Chi di noi ragazze non ha posseduto un flauto?
Era facile trovarli, ne esistevano di ogni foggia e dimensione, e tutti, stretti tra le dita dapprima impacciate poi sempre più abili, e sollecitati debitamente con le labbra, producevano una gratificante melodia.
E che gioia sentire il fusto cilindrico riscaldarsi allo sfregamento dei polpastrelli ed emettere note vibranti di soddisfazione!
Ah… quella sì che era musica…
Anna Rita Foschini
COMPAGNO DI SBRONZE
Mi inebria.
Mi anestetizza.
Mi fa girare la testa.
Mi confonde, fino a farmi credere di esserci anch’io lì dentro. Tra le pagine.
Io mi ubriaco di libri.
Lucia Cabella
TUTTI GLI ANNI BUTTATI VIA
Ho incontrato casualmente tua madre al supermercato. Ci siamo quasi urtati nel reparto surgelati. Non era sola. L’accompagnava con solerzia un tipo con tanto di barba e occhiali che la faceva apparire, per contrasto, ancora molto giovane e sempre bella. Ho sentito il solito tuffo al cuore e un miscuglio di troppa consuetudine passata e troppa distanza presente. Mi ha guardato come al solito, intensamente, nella luce di quel taglio allungato d’occhi, quasi amorevolmente. Mi ha chiesto come stavo, ma sembrava un po’ imbarazzata, quasi a disagio.
E io che potevo dirle, che passo giorni senza senso, che sono finalmente entrato di ruolo e non me ne frega niente?
Non ho provato gelosia, né invidia. Spero che a lei vada meglio, se lo meriterebbe. Davvero.
Le ho chiesto poi di te, di come andava. Ti vedo così poco ormai. Ma la scelta è solo mia. Mia la colpa. Me lo ha ricordato la sua risposta fredda e la luce dei suoi occhi che si è spenta.
Ci siamo salutati e riparati al sicuro dei rispettivi carrelli della spesa.
Mauro Barbetti
NON C’E’ NIENTE DA RIDERE
Mi capita di leggere pagine
che so di aver già letto
eppure non ne ricordo neanche una parola.
Le cose che poi vorrei dimenticare
come gli sgarbi subiti,
le parole ingiuriose,
gli atteggiamenti di sufficienza,
quelli li ricordo tutti
e con dovizia di particolari.
Allora rido
per mandarle via,
per sminuirle.
Rido e so che è il pianto adulto
è la rassegnazione,
la consapevolezza dell’irrimediabile.
Proprio non c’è niente da ridere
su un uomo che ride.
Franca Riso
QUANDO MI HAI LASCIATO, MI HAI LASCIATO TRE MUTANDE
Io mi faccio troppe domande,
perché solo tre mutande?
Guardo sconsolato il cassetto
E ripenso a quel giorno maledetto
Quando tu “ti amo” hai detto
Ed io mi sono rigirato nel letto
Il silenzio è calato tra noi
Ed io ho evitato gli occhi tuoi
il nostro amore non è sopravvissuto
a quel lungo minuto.
“Ti amo” ora vorrei gridare
Ma tu non sei qui ad ascoltare.
Patrizia Paesani
SPEGNI LA LUCE E ASPETTA
Che arrivi.
Che arrivi un sonno ristoratore.
Che faccia il suo dovere
ed allontani un dolore.
Quel dolore che ha il tuo nome, ma
ancora non ha confini e non sa limitarsi.
Che arrivi.
Che arrivi il giorno splendente.
Che faccia il suo dovere
e scelga una primavera.
Quella primavera che mi faccia volare
oltre la stanza, i prati, i fiumi ed il mare.
Che mi porti al di là di te.
Paolo Amato
I CAVALLI NON SCOMMETTONO SUGLI UOMINI (E NEANCHE IO)
Dodo, anche con i suoi 27 anni suonati, è ancora uno stallone. Con quei suoi occhi grandi e vitrei, la figura possente ma comunque slanciata.
Ha dovuto faticare molto per arrivare dov’è ora e non rimpiange nulla.
A Dodo non piacciono le corse, preferisce farle piuttosto che assistervi; ma quella di oggi è un’eccezione: bisogna saper vincere le proprie riluttanze e Dodo è un osso duro.
È Cetta, la sua compagna, ad affiancarlo, quando passa di lì un uomo, altezzoso e gonfio per la sua postura.
“Se vuoi puntare su qualcuno… quel qualcuno sono io.”, dice l’uomo a Dodo con fare grande e superiore.
Dodo mostra la dentatura pronunciata nella risata cavallina che segue, con il taglio che si arriccia appena sopra il naso. “L’unico su cui punto sempre è me stesso, poiché mai ho e avrò da perdere, e la prima vittoria è mettermi in gioco.”, così conclude Dodo e la risata non è solo la sua, ma degli stessi uomini che mai scommetterebbero su loro stessi.
Rita Bernardi
FACTOTUM
Cambiare?
Come cambiare? Questo deficiente di tecnico informatico blatera di RAM, di processore, di sistema operativo.
– Vedi, Marta, Windows XP non avrà più aggiornamenti, sarà vulnerabile ai virus e poi solo un giga di RAM…
Questa è la riconoscenza!
Hai dimenticato, mia cara Marta, quando correggevo tutti i tuoi testi scritti con Word che tu riempivi di “xké” e di “cmq”, delle tue formule sconclusionate in Excel, delle tue ricerche su Google che, se io non le avessi migliorate, non avrebbero trovato assolutamente nulla. E tutti i virus che rischiavi di prenderti dalle e-mail delle tue amiche e che io neutralizzavo.
E ora vengo rottamato come il frullatore o il tagliaerba!
Lo scatolone con il PC nuovo giace, abbandonato, nell’angolo della camera. Ti vedo nel buio sul letto, singhiozzante, non esci da una settimana. Controllo quante visualizzazioni ha avuto il video. Cinquecentomila, niente male. Io finirò nell’immondizia, ma tu, Marta, sarai ricordata a lungo su Youporn.
“Con una mano, una mano, ti sfiori, tu, sola dentro la stanza e tutto il mondo fuori.”
Lodovico Ferrari
SO BENISSIMO QUANTO HO PECCATO
Non credevo…un vero tribunale. L’angelo alla tua destra elenca i peccati. Obietto: “mi avevano detto che con la Confessione si estinguevano”. “E’ prevista l’elencazione”, mi si risponde. Allora, sarà lunga. Quando termina, noto che l’amore, anche quello solo carnale, scambiato con le donne della mia vita non entra nella lista. Me ne inorgoglisco. Ora inizia quello a sinistra: elenca le “opere pie”. Stavolta è veloce. Ho come l’impressione che non deponga bene. Mi si cede la parola… “aliti su un aggrovigliato sistema di molecole. E nasciamo. L’alito resta sepolto dentro. Non sappiamo perché; ma lo portiamo in noi. Portiamo il suo peso nei nostri occhi. Lo facciamo avanzare ad ogni battito del cuore, ad ogni emozione. Poi lo passiamo ai figli e veniamo dimenticati. Siamo usati. Non dovremmo, almeno, sapere perché? E, scusa…non sembri molto presente nelle vicende umane, sai?”. Allora parli. Sento la Tua voce, nella mente. La Tua, nella mia. “So benissimo quanto anch’Io pecchi”.
Roy Roberto
E COSÌ VORRESTI FARE LO SCRITTORE?
– Sai cosa mi piace dell’inverno?
– La zuppa di fave di tua madre?
– No, mi piace questo cielo blu cobalto dopo il maltempo.
– E che ci fai con un cielo blu cobalto?
– Niente, ma è bello guardarlo.
– A te cosa fa venire in mente questo azzurro?
– La maglia della nazionale!
– A me invece fa venire in mente quelle stradine dove si scorge, in fondo, uno spicchio di mare. E mi immagino bambini che corrono e il rumore dei loro scarponcini. Mi immagino madri spazientite che parlano tra di loro, mentre guardano i loro figli sul bagnasciuga. E sento l’odore della salsedine e del latte solare.
Guardo il cielo e mi viene voglia di riempire pagini di emozioni, di ricordi, di parole…
– Come uno scrittore?
– Si, come uno scrittore.
– Così, vorresti fare lo scrittore?
– Si, papà, è proprio quello che desidero fare.
– Bravo, ma ora risali sul trattore che abbiamo ancora qualche ora di sole per poter lavorare. E poi ci aspetta la zuppa di fave.
Marcello Perugia